Ventotene: criminali incalliti!

Falsi, truffe, turbative d’asta. Tutto per mantenere il controllo economico e politico di Ventotene. Fino a costituire una vera e propria associazione per delinquere, impegnata a pilotare appalti a favore di ditte amiche, raggirando anche la Regione Lazio per ottenere finanziamenti, e ottenendo in cambio voti. Sull’isola culla del federalismo la gestione della cosa pubblica sarebbe andata avanti così per cinque anni, dal 2011 al 2016. Un “sistema” che non sarebbe stato rotto neppure dalle prime indagini della Guardia di finanza, dalla misura interdittiva emessa nei confronti di un dipendente comunale e dal commissariamento, dopo la caduta anticipata della giunta Assenso. La presunta organizzazione criminale anzi, in vista delle elezioni del prossimo 11 giugno, sarebbe tornata a organizzarsi, si sarebbe preparata per tornare ad operare come e più di prima, puntando anche gli oltre 70 milioni di finanziamenti promessi dal Governo per la ristrutturazione dell’ex carcere borbonico. Abbastanza per far chiedere al sostituto procuratore Roberto Bulgarini e far disporre al gip Salvatore Scalera misure cautelari per cinque dei tredici indagati, ovvero per quelli accusati di aver costituito un’associazione per delinquere. I finanzieri hanno così perquisito, sequestrato documenti e messo ai domiciliari l’ex sindaco Giuseppe Assenso, l’ex assessore Daniele Coraggio, il dipendente comunale Pasquale Romano, e gli imprenditori Claudio Santomauro e Antonio Langella.

LA CONFERENZA STAMPA A CASSINO

“Sono stati chiesti finanziamenti anche per lavori su un’area sottoposta a sequestro penale”, ha dichiarato il tenente colonnello Andrea Bello, comandante del Gruppo Guardia di finanza di Formia. “Abbiamo scoperto anche un danno erariale per almeno centomila euro e già presentato una relazione alla Corte dei Conti”, ha aggiunto in conferenza stampa il luogotenente Antonio Merolla, comandante della brigata delle Fiamme gialle di Ventotene. “Abbiamo iniziato a indagare nel 2015 sul porto e ci siamo resi ben presto conto di trovarci davanti a un vero e proprio sistema”, ha precisato sempre il tenente colonnello Bello. “Come contropartita – ha assicurato il procuratore capo di Cassino, Luciano D’Emmanuele – c’era il voto di scambio”.

L’INCHIESTA

Indagati solo a piede libero gli imprenditori Francesca Gargiulo, Raffaele Taliercio, Francesco Coraggio, Raffaele Di Gabriele, i componenti della commissione di gara Luigi Cirillo e Patrizio Quinto, l’imprenditore Giuseppe Cimino e il tecnico Catia Bianchi. Per gli inquirenti l’organizzazione avrebbe pilotato illecitamente la gestione del porto e gli appalti connessi a quell’area. Per il gip quello che è emerso dalle indagini è un “allarmante scenario caratterizzato da plurime condotte di turbativa di appalti, di falso ideologico, di truffa ai danni della Regione Lazio, avente come protagonisti personaggi appartenenti al mondo politico, amministrativo e imprenditoriale dell’isola”. Un’inchiesta in cui è stato fatto ricorso anche alle intercettazioni telefoniche e ambientali, con cimici piazzate anche all’interno del municipio. Duro sempre il giudice sul sistema degli appalti: “Le condotte manipolatorie nei procedimenti d’appalto e quelle truffaldine dirette ad ottenere contributi e finanziamenti da parte della Regione appaiono seriali e spesso sovrapponibili”. Fino ad affermare che Romano aveva escogitato una serie di escamotage, insieme ai suoi “compari d’avventura”, “per scegliere in maniera del tutto arbitraria l’impresa a cui affidare l’appalto”. Alle gare sarebbero state così convocate tutte ditte prive dei necessari requisiti, per poi far fare i lavori a quelle “amiche”.

LA GIUNTA “TRADITA”

La presunta associazione per delinquere, pur di raggiungere i propri scopi, sarebbe poi arrivata al punto di falsificare delibere di giunta, indicando come presenti assessori che non vi avevano preso parte. Questo il caso del vicesindaco Giuseppe Pepe e dell’assessore Cataldo Matrone che, sentiti dai finanzieri, hanno smentito Assenso circa la loro partecipazione alla seduta incriminata. Lo stesso sindaco che, dopo la misura interdittiva a cui venne sottoposto Romano nel 2016, parlando con quest’ultimo e apprendendo che si ipotizzava il voto di scambio tra lui e Langella, intercettato disse: “Era questo quello che temevo”. Illeciti che emergono anche da una conversazione di Cirillo captata da una cimice: “Tutto marchingegnato. Ma per che cosa? Per obbligazioni di Geppino. L’ha costretto, l’ha costretto in maniera sia verbale che psicologica a fare il bando. Proprio in prospettiva per ringraziarsi dei voti che gli ha dato Ceroblocco (alias Langella Antonio) e gli amici suoi”.

AFFARI E VOTI

Ma sul voto di scambio conferma agli inquirenti sono giunte anche da componenti della coop Porto Romano: “La cooperativa si aggiudicò la procedura di affidamento del porto nuovo a seguito di accordi intercorsi fra Langella, allora presidente della coop, e Santomauro. Accordi che avevano a base la promessa da parte di Langella di veicolare i voti di noi soci a favore di Assenso”. Ancora: “Langella ci raccontò che Santomauro lo aveva in un certo senso incastrato, ovvero gli aveva detto che se non avessimo votato Assenso non solo non avremmo mai avuto speranze di poter vincere l’affidamento del braccio del porto ma non avremmo mai avuto possibilità di ottenere alcune concessioni all’interno del porto romano che la nostra cooperativa aveva da tempo richiesto”.

PRONTI A TORNARE IN AZIONE

Secondo il gip, nonostante alcuni contrasti emersi all’interno della presunta organizzazione criminale e nonostante il commissariamento del Comune, l’organizzazione si stava preparando a tornare in azione.“Assenso e Coraggio – evidenzia il giudice Scalera – con la sicura approvazione del Santomauro, hanno partecipato alla riunione tenutasi nell’isola in data 22 ottobre 2016 per lanciare il movimento “Ventotene del fare” in vista delle prossime elezioni politiche. Sono già iniziate le operazioni per riprogrammare l’attività delittuosa da parte di importanti componenti del sodalizio profondamente radicato nell’isola da numerosi anni”.

LE ESIGENZE CAUTELARI

Nel disporre le misure cautelari, paventando il rischio di reiterazione del reato, il gip definisce la personalità dell’ex sindaco “quantomai allarmante”, con una concezione della gestione della cosa pubblica come “faccenda rimessa al suo incontrastato potere ed arbitrio”. Di più: “La sua parabola politica coincide con la carriera criminale”. Su Santomauro a pesare è stata invece anche la delega che il primo cittadino gli aveva dato per partecipare al tavolo di lavoro per la salvaguardia dell’ex ergastolo, dove ci sono in ballo oltre 70 milioni di euro. Romano poi viene considerato un soggetto che in Comune si muove con “assoluta spregiudicatezza”. Rischio di recidiva infine paventato per Coraggio e Langella.

Fonte: H24Notizie

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25 anni dalla strage di Capaci

Grazie Giovanni

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Ventotene, appalti in cambio di voti. Ecco tutti i nomi della cricca finita sotto inchiesta

Tredici indagati per per turbata libertà degli incanti, falsità ideologica, truffa aggravata, per l’erogazione di pubbliche forniture ed abuso d’ufficio finalizzato alla realizzazione del cosiddetto “voto di scambio”. E’ il bilancio dell’operazione che questa mattina a Ventotene ha visto, da parte della Guardia di Finanza, l’esecuzione di cinque ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari una delle quali a carico dell’ex sindaco Geppino Assenso la cui amministrazione è stata sciolta neanche un anno fa a seguito della mancata approvazione del bilancio comunale con il conseguente commissariamento dell’ente che ora si appresta a nuove elezioni nella tornata delle amministrative dell’11 giugno. Il problema era stato attribuito alla mancata copertura delle spese correnti. Un difetto insormontabile segnalato dall’organo di revisore dei conti. Due i nodi principali: la casa alloggio per anziani e la cooperative per il servizio di pulizia porti e rade.

I fatti contestati dalla Procura di Cassino che hanno portato all’esecuzione delle ordinanze cautelari vanno dal 2011 al 2016. Arrestati, insieme all’ex primo cittadino, gli ex consiglieri Daniele Coraggio e Claudio Santomauro, quest’ultimo anche titolare di una ditta individuale edile, il responsabile dell’area tecnica Pasquale Romano, firmatario degli atti finiti nell’inchiesta, e Antonio Langella, presidente della società cooperativa Porto Romano.

Le indagini svolte dalla Brigata della Guardia di Finanza di Ventotene, in sinergia con gli uomini del colonnello Michele Bosco, comandante provinciale delle Fiamme Gialle, sono state coordinate dal sostituto procuratore Roberto Bulagarini che all’esito delle investigazioni ha chiesto, ottenendole, le misure cautelari. Le ordinanze sono state emesse dal Gip del Tribunale di Cassino Salvatore Scalea. Sotto inchiesta, oltre agli arrestati, sono finiti indagati a piede libero Francesca Gargiulo, Raffaele Taliercio, Francesco Coraggio, Raffaele Di Gabriele, Luigi Cirillo, Patrizio Quinto, Giuseppe Cimino e Catia Bianchi. Sono tutti accusati degli stessi reati, in concorso.

L’attività investigativa avrebbe fatto emergere la sussistenza, sull’isola, di una vera e propria associazione a delinquere dedita ad appalti e assegnazione di pubbliche forniture in generale al fine di realizzare il voto di scambio. Gli arrestati vengono inquadrati, nell’ordinanza che li vede ai domiciliari, come gli ideatori e promotori della cricca di politici e imprenditori per l’affidamento ad aziende “preselezionate” di opere e servizi mediante gare, promosse con il metodo della procedura negoziata, indette solo da un punto di vista documentale. Le imprese in questione, in base alle indagini svolte, sarebbero risultate fittiziamente invitate al fine di garantire la scelta precedentemente operata a favore di un determinato imprenditore.

Nel caso di gare caratterizzate dall’affidamento di servizi, secondo gli inquirenti, l’allora funzionario incaricato si premuniva, pur di garantire l’impresa affidataria “amica”, di non procedere alla stipula di alcun contratto né, tantomeno, assicurare alla stazione appaltante gli introiti offerti per l’aggiudicazione, arrecando, in tal modo, anche un danno erariale all’ente pubblico. Le procedure investigate hanno riguardato un insieme di gare indette nell’area del porto nuovo di Ventotene che hanno visto la realizzazione di opere nonché l’affidamento di servizi legati al turismo, risorsa economica significativa dell’isola. Nell’ambito dello stesso contesto sarebbe emerso il ricorso al fenomeno del “voto di scambio”, al fine di agevolare nelle competizioni elettorali gli allora esponenti politici compiacenti. Questi ultimi, quale contropartita, avrebbero dovuto garantire l’aggiudicazione, agli imprenditori loro associati, di gare pubbliche relative a servizi di fornitura connessi al turismo sull’isola. Questo è quanto confermato nella tarda mattinata di oggi dal procuratore di Cassino nel corso di una conferenza stampa.

Le indagini a carico del responsabile dell’area tecnica erano note da tempo sull’isola di Ventotene e in particolar modo negli ambienti municipali e dell’imprenditoria, ciò nonostante la cricca avrebbe continuato ad operare allo stesso modo.

L’inchiesta sugli appalti pilotati sull’isola di Ventotene è la seconda del genere in provincia di Latina dall’inizio dell’anno, tralasciando quella di fine 2016 denominata Olimpia. Per l’operazione Tiberio, esplosa il 16 gennaio 2017 con clamorosi arresti, tra cui quello del sindaco di Sperlonga Armando Cusani, uscito dal carcere solo la scorsa settimana – ora è detenuto ai domiciliari -, è in corso il processo. La prossima udienza è fissata per il 13 giugno.

Fonte: LatinaCorriere.it, Corriere della Sera, Latina Quotidiano

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Ventotene: Arrestata la cricca di Assenso e Co.

Geppino Assenso, Pasquale Romano, Daniele Coraggio, Antonio Langella e Claudio Santomauro, gli amministratori e imprenditori arrestati a Ventotene

Giuseppe Assenso, Claudio Santomauro, Pasquale Romano, Daniele Coraggio e Antonio Langella sono stati arrestati per associazione a delinquere dedita alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, falsità ideologica, truffa aggravata, per l’erogazione di pubbliche forniture ed abuso d’ufficio finalizzato alla realizzazione del cosiddetto “voto di scambio”

Nella mattinata odierna, i Finanzieri del Comando Provinciale di Latina hanno dato esecuzione, sull’isola di Ventotene, a misure di ordinanza di custodia cautelare emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Cassino, dott. Salvatore Scalera, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Roberto Bulgarini.

L’attività investigativa svolta dai militari della Brigata della Guardia di Finanza di Ventotene ha permesso di far emergere la sussistenza, sull’isola, di una vera e propria associazione a delinquere dedita alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, falsità ideologica, truffa aggravata, per l’erogazione di pubbliche forniture ed abuso d’ufficio finalizzato alla realizzazione del cosiddetto “voto di scambio”.

Le misure, giunte a conclusione di una complessa attività di indagine condotta dalle Fiamme Gialle pontine, hanno riguardato l’analisi documentale di più procedure ad evidenza pubblica, attuate dal Comune di Ventotene nel periodo tra il 2011 ed il 2016, nei confronti di diversi soggetti.

Le operazioni di polizia giudiziaria hanno permesso di far emergere un’organizzazione di politici e imprenditori che aveva ideato un sistema illecito che prevedeva l’affidamento, ad aziende “preselezionate”, di opere e servizi mediante gare, promosse con il metodo della procedura negoziata, indette solo da un punto di vista documentale, in quanto le imprese risultavano fittiziamente invitate al fine di garantire la scelta precedentemente operata a favore di un determinato imprenditore.

Le indagini hanno inoltre permesso di appurare che, nel caso di gare caratterizzate dall’affidamento di servizi, l’allora funzionario incaricato si premuniva, pur di garantire l’impresa affidataria “amica”, di non procedere alla stipula di alcun contratto nè, tantomeno, assicurare alla stazione appaltante gli introiti offerti per l’aggiudicazione, arrecando, in tal modo, anche un danno erariale all’ente pubblico.

Fonte: H24Notizie, Latina Corriere.it, Latina Today, Il Mattino, ANSA, Il Messaggero, IMG Press, Radio Luna, La Repubblica, Stato quotidiano, Latina 24 Ore.it, Affari italiani, Il Fatto Quotidiano

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Elezioni a Ventotene: spunta una nuova lista

E’ caduto finalmente l’ultimo alone di mistero che aleggiava sulla terza candidatura a sindaco al comune di Ventotene, il più piccolo della provincia di Latina chiamato il prossimo 11 giugno ad eleggere direttamente il proprio sindaco e a rinnovare il rispettivo consiglio. Se erano note da settimane le sfide del notaio ventotenese Gerardo Santomauro per la lista “Buona Onda” e dell’ex direttore generale del Ministero della Pubblica istruzione Raffaele Sanzo per la civica “Ventotene Vive”, nessuno dei quotidiani locali, tv, radio e sito web era riuscito in 48 ore a menzionare correttamente il nome del terzo aspirante sindaco di Ventotene e tantomeno i nomi dei dieci candidati al consiglio. Una stranezza per un progetto politico-amministrativo che – sulla carta – avrebbe meritato tanta visibilità sui media.

Ora l’arcano è stato risolto: il terzo aspirante sindaco di Ventotene è una donna, si chiama Adele Saccucci, ha 62 anni ed è di Piglio, in provincia di Frosinone, una località che con la seconda isola pontina, la culla del Federalismo europeo, non ha avuto mai apparentemente a che fare. La signora è già stata candida lo scorso anno a Casape, Comune in provincia di Roma di soli 761 abitanti, ottenendo soltanto 27 preferenze. Gli stessi dieci candidati al consiglio comunali, poi: nessuno residente a Ventotene, alcuni abitano tra Formia, Gaeta e Minturno alcuni altri arrivano dalla provincia di Frosinone e fuori dalla Regione. I nomi degli aspiranti consiglieri comunali: Nicola Chiacchio, Ciro Mazzella, Luciano Montanaro, Luigi Oliva, Vincenzo Pollano, Luigi Romanelli, Francesco Sorgente, Mauro Verrengia, Roberto Zucca La Ventura.

Nei comuni con meno di mille abitanti come Ventotene, sono i candidati stessi a sottoscrivere le liste per cui non c’è stato bisogno di affaticarsi girando per l’isola tufacea a raccogliere firme.

Fonte: Temporeale.info

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Ventotene, l’isola dei progetti incompiuti

Ventotene isola a emissioni zero, resta solo una colonnina arrugginita
Il professor Frattale Mascioli del Pomos della Sapienza: “Occasione persa. Da quella esperienza è nato un progetto per Argentario e Giglio”

Ve lo ricordate il progetto Ventotene isola a emissioni zero? Bene. Quello che oggi ne resta, è questa colonnina verde e gialla, somigliante forse più a un residuato postbellico che a una postazione di ricarica elettrica. Otto anni fa invece era il futuro e faceva immaginare l’isola pontina, oltre che modello non inquinante, laboratorio italiano della mobilità elettrica (anche nautica), dei meccatronici, dell’illuminazione solare, e finanche prima isola a connessione wi-fi totale.
“Mi sono mangiato le mani quando lo scorso anno c’è stata la visita della Merkel, perché se avessimo completato quel progetto, i big d’Europa avrebbero trovato a Ventotene qualcosa di veramente unico e come Sistema Italia avremmo fatto una bellissima figura. Un’occasione persa”, dice Fabio Massimo Frattale Mascioli, docente del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione elettronica e delle telecomunicazioni e tra i fondatori del Pomos, il Polo per la mobilità sostenibile della Sapienza che ha sede a Cisterna.

IL PROGETTO – Il progetto, decisamente affascinante aveva fatto il giro d’Italia raccontato da tg nazionali, radio e giornali. Prevedeva due tronconi: l’implementazione del fotovoltaico che avrebbe alimentato le esigenze di illuminazione dell’isola, di cui non è stato fatto praticamente nulla. E un’altra parte per la mobilità elettrica, che ha fatto un pezzo di strada in più. Troppo poca, però. Ma che cosa è accaduto?

Il professor Frattale Mascioli

“E’ successo che una delle aspettative più belle ha generato una delle più grandi delusioni. Ci resta però il patrimonio esperienziale che ci ha consentito di fare in seguito cose importanti”, racconta il prof. Il progetto era molto ambizioso e ben pensato, partorito dall’assessorato regionale retto dal Verde, Zaratti, finanziato dalla Regione Lazio di Piero Marrazzo, con un commissario che lo seguiva anche dal punto di vista manageriale, Bruno Placidi. Il mandato per il Pomos era: realizzare una flottiglia di veicoli elettrici da far girare sull’isola.
“Facemmo un’operazione molto innovativa anche dal punto di vista organizzativo, con una triangolazione tra la parte istituzionale, Regione e Comune, l’Università e la parte imprenditoriale. La Piaggio fornì i mezzi elettrici, e altre società le sottoparti delle infrastrutture. Allargammo poi gli obiettivi del progetto: non solo la flottiglia dei veicoli, ma anche le infrastrutture di ricarica, la loro connessione con la parte fotovoltaica, l’ infrastruttura telematica con le antennine wi-fi che davano copertura all’isola, curammo l’allestimento dell’officina di primo intervento in caso di guasto dei mezzi, occupandoci anche della formazione dei meccanici e inventando in pratica il corso per i maccatronici, meccanici che potevano occuparsi di veicoli elettrici”.

Dunque Ventotene otto anni fa era lanciata, pronta a diventare best practice a livello europeo, oltre che isola a emissioni zero (e senza tubi di scappamento), con sette porter Piaggio sbarcati sull’isola, praticamente regalati dalla casa madre, ma anche prototipi elettrici creati dal Pomos, capaci peraltro di svolgere una serie di altre funzioni, come effettuare il monitoraggio ambientale e offrire servizi ai turisti. Gli universitari avevano anche inventato una telecamera subacquea a 360° per osservare il passaggio dei cetacei. Senza considerare che il secondo step del progetto riguardava la nautica, e prevedeva la messa a mare di battelli elettrici per coprire la tratta Ventotene-Santo Stefano.
“Ventotene era anche entry point di una progettualità da estendere a Ponza, travasando l’esperienza sulla maggiore delle Pontine e paradigma per tutte le piccole isole”.

i mezzi elettrici a Ventotene: era il 2009

LA FINE DEL PROGETTO – E qui arriviamo alle solite: cade il Presidente Marrazzo, in Regione arriva Storace, il manager Placidi non è più commissario per le Isole Ponziane, chi viene dopo non vuole sapere dei progetti precedenti, il Comune isolano non è organizzato per proseguire e tutto si perde nel nulla. Salutati 400 mila euro, mentre resta qualche pezzo arrugginito da smaltire.
Per la cronaca: oggi, ispirato da quell’esperienza, aggiornato e migliorato tecnologicamente, finanziato con circa 5 milioni di euro, il Pomos della Sapienza coordina un progetto in Toscana, tra Orbetello, Monte Argentario e Isola del Giglio. Si chiama Life Silver Coast.

LA NUOVA OCCASIONE – “Resta la delusione per non averlo potuto fare a Ventotene, nella stessa provincia in cui operiamo come Pomos – conclude Mascioli – mentre la voglia di riprovarci è inalterata. Ma noi siamo la parte tecnologica. Sono le istituzioni che devono crederci”.

E così, tanto per dire. Da poco, è stato pubblicato un decreto del Mise che finanzia progetti per energia e mobilità per le piccole isole, sembra proprio quello di Ventotene isola a emissioni zero. Che non sia di buon augurio per una ripartenza?

Fonte: RadioLuna

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Nuovo rinvio a giudizio per Geppino Assenso, uno dei sindaci più inquisiti d’Italia

Giuseppe Assenso, ex sindaco di Ventotene

Accusati di aver inquinato il mare di Ventotene, una riserva marina, l’ex sindaco Giuseppe Assenso e il geometra comunale Pasquale Romano sono stati citati direttamente a giudizio. A disporre per i due un processo, a causa dell’inquinamento che avrebbe causato il depuratore dell’isola, è stato il sostituto procuratore della Repubblica di Cassino, Alfredo Mattei.

Un processo scaturito dall’inchiesta su due sversamenti, uno verificatosi a ottobre 2014 e l’altro l’estate scorsa. Il depuratore aveva però da tempo problemi e, durante la stagione turistica di due anni fa, erano state elevate delle sanzioni anche dalla sezione navale della Guardia di finanza. Poi, nel 2015, l’allarme con i liquami finiti sulla scogliera, nei pressi della spiaggia. Alla luce degli accertamenti compiuti dalla Capitaneria di Porto e dai tecnici dell’Arpa Lazio, il sostituto Mattei ha quindi aperto un’inchiesta e indagato il primo cittadino, per 11 anni alla guida dell’isola, e il tecnico comunale, mandandoli poi a giudizio.
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Elezioni a Ventotene: Assenso ci riprova con l’amico siciliano

Ha scoperto Ventotene grazie alla sua passione, antica, per la vela. E quando può non disdegna di rivolgere la prua della sua imbarcazione per l’isola su cui negli anni bui della guerra è stata concepita, grazie al Manifesto di Spinelliana memoria, l’Europa libera ed unita . Il suo cognome poi è talmente aristocratico quasi a rievocare uno dei padri del Rinascimento, tra più significativi della nostra storia dell’arte. Questione di consonante. Manca ancora l’ufficialità ma potrebbe essere Raffaele Sanso la novità più importante del panorama elettorale a Ventotene dove l’11 giugno prossimo la comunità più piccola della provincia di Latina sarà chiamata a rinnovare il consiglio comunale e ad eleggere il sindaco erede del dottor Giuseppe Assenso che ha interrotto la sua esperienza umana ed amministrativa alla guida della sua isola per la mancata approvazione del conto consuntivo e, soprattutto, per i conti non in regola del comune.

Raffaele Sanso

Naturalmente l’interessato smentisce che sia stato a opzionare il dottor Sanso ma l’ex sindaco Assenso è legato al 71enne originario di Agrigento – ma trasferitosi a Guidonia Montecelio, vicino Roma, all’età di nove anni – da un antico legame di amicizia. Ma chi è il probabile candidato sindaco che dovrebbe raccogliere l’eredità della formazione civica capitanata sinora dalla famiglia Assenso? Giovanissimo iscritto all’Azione Cattolica, a 18 anni Sanso era attivo nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana di cui è stato, dal 1980 al 1990, segretario politico al comune di Guidonia. Ma il pane companatico di Sanso è sempre stata la scuola: vi è entrato all’età di cinque anni per uscirne a 65. Allievo, studente, maestro, professore, ispettore tecnico per le lingue straniere e, infine, direttore generale prima al ministero e poi all’Ufficio scolastico regionale del Lazio. La sua attività professionale è sempre caratterizzata dall’innovazione didattica, scientifica e ordinamentale. Un esempio? Ha promosso e realizzato circa 55 ore di trasmissioni televisive in diretta per la formazione dei docenti nell’ambito delle due grandi azioni della RAI, “la scuola si aggiorna” e “RAI educational”. La carriera di Sanso ha avuto il suo clou nella parte finale: nel 2006 è stato nominato capo della segreteria del Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni (ora presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sull’uccisione di Aldo Moro e di cinque agenti della sua scorta) e quindi Direttore generale, prima presso il Ministero e poi  all’Ufficio Scolastico regionale del Lazio.

Gerardo Santomauro
Gerardo Santomauro

Il principale competitor di Sanso sarà – il futuro è il tempo più corretto – il notaio Gerardo Santomauro. Ventotenese – come spesso dice – al 101%, Santomauro, appartenente ad una storica famiglia di albergatori e ristoratori, svolge la sua attività a Benevento ma nella prossima competizione elettorale vuole “recuperare” il tempo perduto due anni fa quando per una manciata di voti perse il confronto elettorale con il sindaco uscente Assenso.  Il suo intento è quello di “riportare a Ventotene la democrazia, persa ormai negli ultimi anni. L’isola – osserva – ora può, più che mai, riscattarsi davanti agli occhi dell’Italia e dell’Europa. Deve dimostrare di essere all’altezza della sua storia e dare prova di democrazia e riscatto rispetto al passato”.

Mario Adinolfi

Chi potrebbe guadagnare la ribalta pubblicitaria dell’isola culla del federalismo europeo è uno dei blogger più famosi d’Italia, l’ex deputato e giornalista Mario Adinolfi. E’ conosciuto negli ambienti politici italiani per aver sostenuto la candidatura di Matteo Renzi alle primarie del 2013 ma, dopo una lunga attività parlamentare e pubblicistica, ha deciso di scendere in campo a Ventotene ponendo come primo punto del suo programma la di una “nuova Europa cristiana”. Adinolfi può far saltare il tavolo e i detrattori delle altre due liste sostengono che il figlio dell’attore romano Ugo Adinolfi avrebbe messo piede su Ventotene per la prima volta in occasione dell’ultimo week-end pasquale e, poi, nel ponte del 25 aprile… Sarà vero? I principali ostacoli di Adinolfi sono due, in effetti: dar vita alla propria lista elettorale (impresa complicata su un’isola divisa storicamente in due fazioni quasi a rievocare le gesta dei Guelfi e Ghibellini) e, ancor prima, raccogliere le firme per presentarla davanti alla segreteria generale del comune.
Adinolfi, appena sbarcato da Formia a bordo di un traghetto della Laziomar, è stato definito un alieno. Qualcuno gli ha ricordato che alla testa del suo partito politico “Il Popolo della famiglia” , fondato solo nel 2016, ha ottenuto solo lo 0,6% dei voti alle amministrative del comune di Roma di un anno fa. Ventotene, poi, ha tante e tali emergenze sul tappeto che le posizioni di Adinolfi contro la  surrogazione di maternità, le adozioni gay, la stepchild adoption, ogni forma di unione omosessuale, la legalizzazione di tutte le droghe e l’eutanasia, pur rispettabili, non possono entrare in una campagna elettorale in cui i temi, caldi, saranno una diversa gestione del turismo, dei rifiuti e dei trasporti. Almeno sino a prova contraria.

Fonte: TempoReale.info

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“Non volevo morire così”: una Spoon River tra Santo Stefano e Ventotene

Nel nuovo libro di Pier Vittorio Buffa i protagonisti hanno conosciuto la segregazione e le violenze del fascismo nelle due piccole isole del Tirreno. A Ventotene hanno lottato contro il regime, per regalarci un’Italia libera e democratica. Pubblichiamo un estratto del volume in uscita il 6 aprile e la prefazione di Emma Bonino

Non volevo morire così
, di Pier Vittorio Buffa (Editore Nutrimenti) , in libreria dal 6 aprile), è, come si legge nella quarta di copertina, una “Spoon River di Santo Stefano e Ventotene, le due piccole isole del Tirreno culle dell’idea d’Europa e della Costituzione italiana”. Le guide scelte da Buffa sono gli uomini che sulle due isole sono stati segregati. “A Santo Stefano gli ergastolani morti nel carcere e in parte sepolti sull’isola: storie sconosciute di chi ha scontato anni e anni di reclusione e vissuto rivolte, fughe, violenze, ingiustizie. A Ventotene i confinati che hanno lottato contro il fascismo, per la libertà, per la nascita di un’Italia libera e democratica, ma che non hanno potuto vedere il frutto del loro sacrificio”.

Nel libro, al quale Emma Bonino ha scritto la prefazione, si fa la conoscenza con personaggi come il comunista calabrese Rocco Pugliese, ucciso dai secondini dell’ergastolo di Santo Stefano o come il partigiano greco Giorgio Capuzzo che aveva combattuto contro gli italiani. Le loro storie sono precedute dal numero di matricola di ciascuno e da un distico che, come spiega Buffa “racchiude i possibili ultimi pensieri, quelli che nessuno sa se si riescono davvero a fare prima di morire”.

Gli anni del confino di Ventotene, quelli in cui presero forma l’idea di Europa e la futura Costituzione italiana, li raccontano, tra le altre, le storie di Mario Maovaz, il giellista triestino bibliotecario del confino. Dell’anarchico Gigino lo Stipettaio (si narra che nel sottofondo di un suo mobiletto sia uscita dall’isola una copia del Manifesto per l’Europa). Di un altro anarchico poi morto in un lager, Giovanni Domaschi. Uomini che, insieme ai futuri protagonisti dell’Italia democratica, hanno lottato, studiato, fatto politica.

“È per tutto questo”, conclude Buffa, “che a Santo Stefano e Ventotene si incrociano i destini dell’Italia, dell’Europa e delle migliaia di uomini costretti a viverci. Con loro rileggiamo i grandi fatti della storia come in una lente di ingrandimento per cogliere particolari sfuggiti o ignorati, rivedere giudizi stereotipati”.

La prefazione di Emma Bonino

Degli anni del confino di Ventotene e delle persone che li hanno vissuti una come me pensava di conoscere tutto: del Manifesto per l’Europa, di Altiero Spinelli, di Ada ed Ernesto Rossi… Pensava di avere letto così tanto da sapere bene come erano andate le cose.

E invece, proprio per una come me, la ricostruzione che di quegli anni viene fatta in Non volevo morire così è sorprendente ed emozionante.

Questo è un bel libro, scritto in modo gradevole, insieme drammatico e godibile. Due cose che sembrano in contraddizione ma che qui non lo sono.

Sono pagine che ricostruiscono la vita dei confinati, fotografano dettagli che gli anni rischiavano di cancellare per sempre. E diventano, quindi, un importante riconoscimento per tutti coloro che in nome dei propri ideali hanno perso la libertà e sono rimasti segregati nelle prigioni fasciste o nelle isole di confino. Non solo i personaggi più noti, quelli che hanno poi attraversato, con i loro nomi e le loro azioni, la storia della Repubblica. Oltre a Spinelli e agli altri federalisti penso a Pertini, Terracini, Scoccimarro… Uomini che della prigionia e del confino hanno scritto e raccontato nutrendo generazioni di libertari e di antifascisti. Ma questo libro è un riconoscimento soprattutto per coloro che non hanno potuto raccontare, che sono morti, come scrive Pier Vittorio Buffa nelle prime pagine, “prima di vedere il proprio sacrificio contribuire alla nascita di un’Italia democratica e repubblicana”. Incontriamo grandi eroi sconosciuti che senza questo lavoro avrebbero rischiato di uscire dalla nostra memoria, dalla storia di questo paese.

Incontriamo Giovanni Bidoli: una storia, la sua, che mi ha molto colpita. Una tenace lotta per difendere le proprie idee che finisce in un campo di concentramento e in una marcia estenuante in cui Bidoli scompare.
Incontriamo lo Stipettaio, l’anarchico che ha confezionato il mobiletto con il quale, si dice, vennero portati fuori dall’isola il Manifesto e altri importanti documenti clandestini. E che prepara un vassoio di legno sul quale Ernesto Rossi dipingerà bellissime scene di vita dei confinati di Ventotene.

E poi altri. L’uomo ammalato difeso da Pertini che impone al direttore del confino di farlo portare subito in ospedale. L’anarchico Domaschi che aveva diviso la cella con Ernesto Rossi…

Ecco, è proprio leggendo queste storie che ti rendi conto che ti sbagliavi quando ritenevi di sapere tutto e che nulla più potevi aggiungere alle tue conoscenze su quel pezzo di storia d’Italia. Persino di Altiero Spinelli ho scoperto un dettaglio della sua vita che ignoravo. A Ventotene aveva imparato ad allevare galline: dietro la sua piccola bottega da orologiaio aveva organizzato un efficiente pollaio. Attraverso particolari come questi si entra davvero nella vita del confino. Una vita difficile come tutte le vite segregate, una vita di stenti scandita dall’arrivo del piroscafo Santa Lucia che portava viveri, posta e, spesso, nuovi compagni.

L’isola di Ventotene la conosco bene. Anzi, pensavo di conoscerla bene. Ci sono andata molte volte, l’ho girata tutta, a terra e per mare. Ma non avevo mai sentito davvero l’odore del confino. I suoi silenzi, i suoi rumori attutiti, le sue urla, le sue disperazioni.

Le storie umane raccontate in queste pagine consentono di avere un quadro più preciso di quella comunità grande e variegata, attraversata da profondi dissidi e grandi amori, che è stata capace di mantenersi comunque vitale, sopravvivere alla dittatura, farsi trovare pronta quando c’è stato bisogno di prendere in mano le armi e costruire un’Italia libera. Una comunità della quale Bidoli, lo Stipettaio e gli altri hanno fatto parte a pieno titolo.
Non volevo morire così, come si capisce immediatamente dal titolo e dalla copertina, parla del confino di Ventotene e dell’ergastolo di Santo Stefano. Parla delle due isole insieme (“mondi lontani e opposti di due isole distanti solo un braccio di mare, ma legate da un comune passato di segregazione e sofferenze”) con l’intento dichiarato di spiegare le radicali differenze dei loro destini, fugare qualunque dubbio o confusione sul loro ruolo nella storia più recente, cogliere quello che le ha legate e le lega. Anche in questo caso attraverso gli strumenti che di questo lavoro sono i pilastri: una ricerca approfondita, risultato di passione e di sforzo intenso, le storie che emergono con la loro struggente quotidianità e le loro enormi sofferenze, il ruolo del cronista che racconta tutto questo con discrezione e pudore, senza mai mettersi in mezzo.

Attraverso la cronaca storica balzano fuori dalle pagine del libro due personaggi opposti dei quali è bene non perdere memoria.
Il primo è Marcello Guida, il commissario di polizia che fu l’ultimo direttore del confino, l’uomo che scriveva i ‘cenni’ (si scoprirà leggendo il libro di cosa si tratta) che segnavano il destino di centinaia di persone, l’uomo che all’indomani del 25 luglio fece sparire la foto di Mussolini dal muro dell’ufficio e il distintivo fascista dal bavero. Guida ha fatto carriera anche nella Repubblica: era il questore di Milano il giorno dell’attentato di piazza Fontana e, come è ricordato in queste pagine, disse subito che, sostanzialmente, l’anarchico Pinelli si era buttato dalla finestra perché i suoi alibi erano crollati. Pertini, quando era presidente della Camera dei deputati e si trovava a Milano, si rifiutò di riceverlo.

L’altro è, appunto, il suo opposto. È l’uomo al quale Buffa dedica un paragrafo intitolato “Il riformatore”: Eugenio Perucatti, direttore dell’ergastolo di Santo Stefano dal 1952 al 1960. Il suo approccio con l’ergastolo è diverso da tutti i suoi predecessori. Innovativo, moderno, rivoluzionario, di eccezionale attualità. Come prima cosa si fa portare i fascicoli dei detenuti e li studia per capire se dentro quelle mura siano rinchiusi degli innocenti. E nella sua prima riunione da direttore fa leggere l’articolo 27 della Costituzione, approvata da pochi anni, dove si stabilisce che le pene “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Quello che Perucatti dice sull’ergastolo lo ripetiamo oggi, con le stesse parole, noi radicali. Lo ha sostenuto con tutto l’impegno di cui era capace Marco Pannella ed è quello che, né più né meno, Rita Bernardini dice ogni volta che visita un carcere. Parole e concetti quindi, quelli usati da Perucatti negli anni Cinquanta, di stringente attualità, dichiarazioni e modi di comportarsi che a un orecchio radicale risuonano molto contemporanei.

La ‘rivoluzione’ tentata da Perucatti e le storie dei detenuti morti sull’isola di Santo Stefano confermano, se mai ce ne fosse bisogno, come la battaglia contro l’ergastolo sia una battaglia che va combattuta fino all’ultimo, fino all’abolizione di una pena che è, di per sé, inumana e anticostituzionale. A questa battaglia Non volevo morire così, con le sue drammatiche storie di ‘sepolti vivi’, dà un importante contributo.

La storia di Rocco Pugliese

960. Ucciso
Sapevo che stavano per uccidermi, lo sapevo perché non avevo subito in silenzio la loro violenza. Io non volevo morire, perché avrei voluto combattere ancora contro i fascisti, aiutare il mio paese a diventare un paese libero. Per questo ho lottato fino alla fine. Poi mi hanno legato.
Rocco

Roma, Montecitorio, 19 novembre 1947, seduta dell’Assemblea costituente. Si parla di carceri, di pestaggi di detenuti. Il deputato socialista Sandro Pertini prende la parola per dichiararsi insoddisfatto della risposta del ministro di Grazia e Giustizia, e parla, tra le altre cose, del carcere di Santo Stefano, dove è stato rinchiuso durante il fascismo. È il giorno in cui Pertini mette la parola fine ai dubbi sulla morte di Gaetano Bresci, il regicida (vd. p. 33). Ed è il giorno in cui parla di un giovane comunista calabrese morto anche lui sull’isolotto ponziano, Rocco Pugliese. “Rocco Pugliese venne soppresso all’ergastolo di Santo Stefano, quando io ero lì, al letto di forza”. Soppresso, ucciso dalle guardie, mentre era legato al letto di contenzione.
Trent’anni dopo, nel 1977, Pertini, che è già stato presidente della Camera dei deputati e sta per diventare capo dello Stato, risponde a una lettera indirizzatagli da una nipote di Rocco Pugliese, Lina, e descrive minuziosamente quello che accadde nel carcere di Santo Stefano il 17 ottobre 1930.
“Una notte un grido straziante mi svegliò. Dalle celle di punizione giungevano rumori di guardie che correvano e poi l’urlo di Suo zio: ‘Mamma, mamma’ e quindi un silenzio di morte… Da informazioni assunte da detenuti comuni che facevano i lavori degli scopini e cioè pulivano i corridoi, le celle e portavano da mangiare ai detenuti, seppi che Suo zio era stato ucciso dalle guardie… Io quando parlo di lotta antifascista ricordo anche Suo zio perché pur non avendolo conosciuto personalmente è stato mio compagno all’ergastolo di Santo Stefano ed è morto tragicamente…la esorto a tenere viva la memoria di Rocco Pugliese, ucciso all’ergastolo di Santo Stefano”.
Rocco Pugliese, nato a Palmi nel 1903, viene rinchiuso a Santo Stefano il 19 gennaio 1929, condannato perché accusato di omicidio, di aver ucciso a colpi di rivoltella un fascista, Rocco Gerocarni. Ma Rocco non ha mai ucciso, la sua colpa è solo quella di essere un antifascista e un comunista. Una ‘colpa’ che lo ha portato prima in carcere, poi alla morte.
Palmi, quando il fascismo non è ancora diventato regime, è terra di socialisti e comunisti. C’è una sezione del Pci, di cui Rocco è uno dei fondatori, e i fascisti non riescono a imporsi. Il clima in città è teso, gli scontri frequenti, gli arresti dei ‘sovversivi’ anche. Il 30 agosto 1925 è l’ultima domenica d’agosto che, come ogni anno, è dedicata a Maria Santissima della Sacra Lettera, patrona della città, e alla festa chiamata della Varia. La Varia è un grande carro, alto più di quindici metri, trasportato in processione da almeno duecento uomini: una tradizione antica che affonda le sue radici nel diciottesimo secolo. Quell’anno i fascisti di Palmi decidono di ‘fascistizzare’ la festa e annunciano che una delle due bande musicali suonerà il loro inno, Giovinezza. In città scatta una decisa, ma pacifica rivolta. Gli antifascisti, e Rocco Pugliese è uno dei più attivi, chiedono la restituzione dei soldi versati per la festa e decidono di boicottare il trasporto della Varia. Aderisce la quasi totalità dei portatori e così sono i fascisti a doversi far carico del trasporto. Dopo momenti di tensione altissima la festa scorre secondo il programma stabilito anche se risuonano per le strade della città le note di Giovinezza. Alla fine la Varia viene deposta come sempre in piazza Vittorio Emanuele (oggi piazza Primo Maggio) e la gente si gode la fine della festa passeggiando e sedendosi ai bar.
Al caffè De Rosa è seduto anche Rocco Pugliese insieme ad altri compagni. Un folto gruppo di fascisti entra nella piazza, con loro è la banda che ha suonato Giovinezza. Vanno verso la sede del Pci, poi verso il caffè De Rosa, dove sanno che siedono i loro nemici. Le note dell’inno fascista si diffondono nuovamente, “altri squadristi cominciano a straripare lungo il marciapiede agitando gagliardetti e bandiere ed intonando a squarciagola Giovinezza”. I fascisti insistono: cantano, si fanno sempre più sotto, cercano una reazione. Il ventiduenne Rocco grida: “Adesso basta, avanti popolo alla riscossa” e canta Bandiera rossa. Testimonierà Rocco il giorno dopo: “I fascisti mi vennero incontro ed il Gerocarni Rocco che mi stava di fronte quasi a contatto mi diede un colpo di bastone che riuscii a parare con la mano. I fascisti misero tutti mano alla tasca, mi stavano accoppando e io, presa una sedia, la lanciai contro i fascisti”. Contemporaneamente si sentono colpi di rivoltella. “Credetti avessero sparato contro di me”, testimonia ancora Rocco, “e dalla massa poi fui trascinato in casa Silvestri… Ero inerme e non è possibile che alcuno possa affermare di avermi visto sparare o di avermi visto con pistola o rivoltella in mano”. Le pallottole colpiscono Gerocarni e altre persone, ma solo lui morirà. Per gli antifascisti di Palmi quel che è successo è fin troppo chiaro: il parapiglia scatenato dagli squadristi serviva a creare il clima adatto per sparare su Rocco e sui suoi compagni. Un testimone dice con chiarezza che ha visto le fiammate dei colpi partire dalla tettoia di una casa su cui erano tre uomini. Nessun testimone ha mai detto di aver visto un’arma in mano a Rocco Pugliese o a qualcuno degli altri seduti al caffè De Rosa.
Per la polizia è invece chiaro l’esatto contrario: vengono arrestate decine di “sovversivi” e alla fine saranno trentuno i rinviati a giudizio per la sparatoria e l’omicidio. Le indagini “puntarono sul teorema falso della organizzazione premeditata dell’assassinio e di un fantomatico complotto sovversivo”. È l’inizio di uno dei processi emblematici all’antifascismo che si concluderà davanti al tribunale speciale il 5 dicembre 1928. Per Rocco Pugliese la condanna più pesante: ventiquattro anni e sette mesi di carcere per “correità in omicidio e quattro mancati omicidi”.
A Santo Stefano la cella di Rocco è marcata come quelle di tutti i politici: il dischetto rosso e la scritta: “Detenuto pericoloso da sorvegliare attentamente”.
Rocco non ha ancora trent’anni, la sua passione politica e il suo fervente antifascismo non lo hanno mai fatto arretrare di un passo. È un esempio di resistenza e di fierezza, dice di lui Pertini. Il suo fascicolo personale, che secondo altri documenti era il numero 960, non è però tra quelli catalogati dagli agenti di Cassino. O è mischiato ad altre carte e deve essere ancora catalogato. O è andato distrutto durante la rivolta del 1943 (vd. p. 144). Oppure non c’è perché qualcuno decise che non doveva essere trovato. La sua morte è registrata al Comune di Ventotene due giorni dopo, il 19 ottobre, con la spiegazione più ovvia e insignificante: morto per paralisi cardiaca, perché il suo cuore si è fermato.
Ma nel carcere si sa come sono andate le cose. Lo ha raccontato Pertini nell’aula di Montecitorio. Lo ha descritto ancora più dettagliatamente l’anarchico Giuseppe Mariani che fa anche i nomi dei responsabili dell’omicidio: “Un episodio banale, spingeva il capoguardia Porta a infierire sul condannato politico Pugliese fino a farne determinare la morte sul letto di forza; furono strumenti di quest’azione gli agenti Barbara capoposto e Giacobbo guardiano dell’infermeria, e, per inerzia, il dottore”. Il capoguardia Porta è un personaggio che si trova più d’una volta nelle memorie di chi è passato per Santo Stefano. Fu Porta ad accogliere, per esempio, il comunista Athos Lisa al suo arrivo all’ergastolo. Lisa lo descrive come un piemontese di costituzione robusta, “con uno sguardo che diceva da solo come l’ergastolo fosse affidato alla sorveglianza”. E racconta: “Che fosse così ce lo dimostrò immediatamente indirizzandosi in particolare a me: ‘Voi siete un uomo pericoloso’. Ed aggiunse: ‘Qui i pericolosi li trattiamo così’. Un pugno mi colpì in pieno viso. Barcollai e se non mi avesse sostenuto la catena che mi univa agli altri due ergastolani, sarei caduto per terra. I miei polsi, stretti ancora nelle manette, pareva sanguinassero, tanto divennero rossi”.
Anche da morto Rocco Pugliese fa paura e intorno alla sua salma si apre un macabro balletto burocratico. Dieci giorni dopo l’assassinio, alla prefettura di Reggio Calabria giunge notizia che “alcuni sovversivi” di Palmi hanno organizzato un “occulto lavorio” per raccogliere il denaro necessario per organizzare i funerali di Rocco, una volta che la salma fosse tornata a Palmi. Gli stessi “sovversivi” avrebbero fatto “private sollecitazioni” per far arrivare alla famiglia di Rocco “lettere di condoglianze e attestazioni di simpatia”. La cosa preoccupa così tanto che viene spedito sul posto un vicequestore per “eseguire diligentissime indagini”. Il funzionario interroga, indaga, perquisisce per poi arrivare alla conclusione che le notizie sono infondate, che “non è emerso alcun atto di solidarietà”. Comunque, per evitare guai, la questura dispone che i funerali di Rocco Pugliese “non abbiano luogo in forma pubblica e che la salma sia trasportata nottetempo dallo scalo ferroviario di Palmi al Cimitero”. E comunque, se ciò non bastasse, vengono date istruzioni “perché qualsiasi eventuale manifestazione sediziosa, comunque tentata o fatta, sia in tempo utile prevenuta e siano adottate severe misure di polizia a carico dei responsabili”.
Preoccupazioni inutili quelle della polizia calabrese. Perché il problema dei funerali di Rocco viene risolto a monte. In una nota di poche righe il prefetto di Reggio comunica a Roma che “dalle indagini eseguite è risultato che, almeno per ora, non avrà luogo il trasporto a Palmi della salma del detenuto in oggetto”. E dove sia finito il corpo di Rocco nessuno lo sa. A Palmi non è mai arrivato, nel cimitero di Santo Stefano non ce n’è traccia.
Ma della sua morte, nel carcere, si continua a parlare. Viene paragonata a quella di Gaetano Bresci (vd. p. 33). Anche lui chiuso a Santo Stefano, isolato, supersorvegliato, ucciso. Nessuno dubita che siano state le botte degli agenti a determinare l’“arresto cardiaco” di Rocco. E nessuno dubita che sia stato ucciso perché stava diventando un simbolo: giovane, comunista, condannato ingiustamente. Così la notizia della sua morte violenta esce dal carcere, gira nella rete clandestina comunista, arriva in Francia e il 21 dicembre diventa un articolo della Humanité, l’organo dei comunisti francesi: “Rocco Pugliese [il giornale, in realtà, lo chiama Pugliesi, ma è un evidente errore materiale] fu svegliato con un sussulto nel cuore della notte dal secondino in servizio. Le guardie di questa prigione sono reclutate tra la più vergognosa mafia di sfruttatori, alcolizzati, invertiti. Il secondino di Pugliese, ubriaco, fece al nostro compagno delle proposte abominevoli.

Fonte: L’Espresso

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Sara e Francesca: chiesta la conferma della condanna x omicidio in appello

Sara Panuccio e Francesca Colonnello

E’ stata chiesta la conferma della condanna per gli imputati della morte di Sara Panuccio e Francesca Colonnello, le ragazze romane di 13 e 14 anni morte durante una gita scolastica a Ventotene il 20 aprile del 2010. Nel processo d’appello in corso a Roma il procuratore generale ha ricostruito l’accaduto e concluso per la responsabilità dell’ex sindaco, Giuseppe Assenso, del capo dell’ufficio tecnico dell’isola, Pasquale Romano, dell’altro ex sindaco Vito Biondo e l’ingegnere del genio civile di Latina Luciano Pizzuti.

Giuseppe Assenso, Vito Biondo e Pasquale Romano, gli amministratori locali condannati in I grado per la morte di Sara e Francesca

I primi due sono stati condannati dal Tribunale di Terracina a 2 anni e 4 mesi, gli altri a un anno e dieci mesi. La replica delle difese è fissata per il 14 gugno.

Fonte: Il Messaggero

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