Ventotene: il Comune comunica via smartphone

Dal Comune direttamente su smartphone, tablet e computerdi cittadine e cittadini. L’informazione viaggia sempre più veloce a Ventotene, grazie al nuovo canale Telegram attivato dall’amministrazione comunale. Un metodo facile, immediato, diretto e discreto per rimanere sempre aggiornati.

“Abbiamo scelto di accrescere ancora di più la nostra “flotta” comunicativa – spiega il sindaco Gerardo Santomauro – aggiungendo ai canali istituzionali già presenti una delle app tra le più diffuse in ambito di messaggistica istantanea. L’utilizzo di Telegram permetterà di contattare contemporaneamente centinaia di persone in maniera semplice, veloce e gratuita. Ogni cittadino rimarrà così sempre informato grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie senza oneri aggiunti per l’amministrazione. Tale scelta votata al risparmio si coniugherà con una maggiore rapidità, fruibilità e qualità del servizio offerto, che diverrà in questo modo più attuale e al passo con i tempi”.

I messaggi diffusi riguarderanno argomenti di interesse generale: dall’illuminazione pubblica alla fornitura elettrica o idrica e a eventuali disservizi, alla gestione e aggiornamenti sulla raccolta dei rifuti porta a porta alle allerte meteo, fino alle maggiori iniziative e manifestazioni sul territorio.

“La rapidità e la comodità – connclude il Sindaco – rappresentano punti di forza di questo servizio, assieme alla discrezione e alla non invasività. Le informazioni che verranno inviate saranno attentamente selezionate dal nostro staff”.

Le comunicazioni saranno effettuate in modalità broadcast, in modo da garantire la segretezza dei numeri degli utenti coinvolti e permettere il contatto solo tra il Comune e i destinatari che decideranno di iscriversi al canale Telegram del Comune di Ventotene, e non viceversa. Il sistema consentirà, infatti, agli utenti di ricevere solo le comunicazioni istituzionali, non rendendo possibile l’invio e la ricezione di messaggi privati.

Fonte: Il Faro online

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Ventotene: si suicida il consigliere comunale Umberto Assenso

Umberto Assenso

Aveva insistito per tornare a Ventotene per votare nonostante le non ottimali condizioni metereologiche. Ma c’era un piano dietro questa volontà che ha attuato nel primo pomeriggio di lunedì: togliersi la vita. L’intera comunità di Ventotene è sotto shock per la decisione di suicidarsi del consigliere comunale di.opposizione Umberto Assenso. L’uomo, 54 anni, aveva deciso di rimanere sull’isola per partecipare al consiglio comunale in programma martedì per alcuni adempimenti burocratici che avrebbero dovuto caratterizzare l’approvazione del bilancio di previsione 2018.

Dopo la mattinata trascorsa in Comune, aveva dato appuntamento ad alcuni amici e conoscenti per pranzare presso l’Hotel “Mezzatorre” in Piazza castello ma il suo mancato arrivo faceva scattare l’allarme. Assenso si era, nel frattempo, tolto la vita impiccandosi, in un vicino deposito di una delle attività commerciali di proprietà della sua famiglia. L’uomo ha lasciato una lettera, in cui motivando le ragioni del suo gesto, si rivolge alla moglie e alle figlie di 10 e 14 anni, nel frattempo rimaste a Roma dove risiedeva da anni.

Sul luogo sono intervenuti i Carabinieri della locale stazione per gli accertamenti di rito restituendo la salma ai familiari per lo svolgimento dei familiari dopo il nulla osta dell’autorità giudiziaria. Assenso è stato anche vice sindaco di Ventotene e, più volte, assessore e consigliere comunale. Era anche nipote dell’ex sindaco dell’isola Geppino. “Siamo tutti sotto shock. La comunità è attonita. Non riesco ancora a crederci. Non ci resta che pregare per la sua anima e per i suoi familiari”, ha dichiarato il sindaco Gerardo Santomauro.

Fonte: TempoReale.info

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Perchè sono stati condannati gli ex sindaci di Ventotene

Leggete solo se avete lo stomaco forte, altrimenti è meglio astenersi.
Sappiate che lo scrivente ha confuso la mia Sara con Francesca.
Quel che voi potete immaginare nel leggere, altro non è che un film che io con frequenza rivedo da quasi 8 anni, talvolta anche quando dormo, dal momento stesso in cui ho saputo che Sara non morì immediatamente, la vedo sempre nella sofferenza dei suoi ultimi istanti, la sento chiamarmi in cerca di un aiuto che mai ho potuto darle.
Non scrivo ciò per essere compatito , ma per riportare la testimonianza di ciò che accadde ed anche del perché. Di quanto sull’isola fossero consapevoli del rischio e dell’omertà verso i turisti e i ragazzi dei campi scuola.
Quindi gli isolani, non tutti, che ancora difendono il sindaco Assenso, sarebbe ora che si ritirassero in silenzio.
Ed a quelli, che invece parlano, dopo tutto ciò, di soldi, che tra l’altro non sono quelli di cui si parla, e che io in questi anni, non abbia puntato che a quelli, sappiate che stavo per stracciare i documenti della transazione fino all’ultimo istante, ma essendo rimasto l’unico ostacolo all’accordo ho firmato per buona pace di tutti gli altri.
E da quel momento, a differenza di quanto si possa pensare, mi sono sentito molto più povero di prima, così come il resto della famiglia.
Questo discorso non vale come giustificazione, anche perché non ne devo ad alcuno, ma solo per indirizzare a chi parla di soldi, da parte mia, di mia moglie, dei fratelli di Sara un caloroso, sentito e sincero, gigante VAFFANCULO.
Buona lettura, se ce la fate fino in fondo

Bruno Panuccio – facebook

Sara Panuccio e Francesca Colonnello

“Una delle sensazioni che ricordo con maggiore nitidezza è il senso di impotenza, l’incapacità di mettere in pratica una reazione razionale e utile in mezzo a quell’inferno fatto di tufo e sabbia.

Gente che correva disperata sui cumuli di tufo, spostando sassi, scavando con le mani, piangendo e bestemmiando. Quando vidi Francesca fu come se fossi stato colpito da una scarica elettrica, e per un attimo tutto rallentò. Era chiaro che ci fosse qualcosa che non andava, la rotazione innaturale del busto rispetto al bacino e alle gambe e i suoi occhi che cercavano aiuto, sempre più deboli, sempre più lontani. Pochi minuti dopo qualcuno completò la conta dei ragazzi e la disperazione si moltiplicò quando si resero conto che Sara doveva essere ancora lì sotto.

In quegli anni lavoravo come istruttore al Circolo Velico Ventotene, che per me e molti altri è sempre stata come una seconda famiglia, un gruppo di amici che si è formato sull’isola di Ventotene tra i meravigliosi burroni di Punta dell’Arco e la spiaggia di Cala Rossano.
C’è ancora poco lavoro per noi al Circolo in quel periodo dell’anno; più che altro stavamo eseguendo lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria alle attrezzature e alle barche, mentre diverse scuole in gita affollano la piccola isola (1,5 km di massima lunghezza).
La base nautica del Circolo si trova a Cala Rossano, una baia a nordest dell’isola che ospita il porto nuovo. La spiaggia è lunga circa duecento metri e si affaccia a est, riparata sotto una parete di rocce e tufo sopra la quale corre la strada che dal paese attraversa la Cala in direzione nordest e arriva fino al benzinaio, una cinquantina di metri dopo la grotta che costituiva la base operativa del Circolo Velico.
Fuori l’ingresso della grotta un balconcino di legno si affaccia sulla spiaggia sottostante, guardando in direzione sud. A metà del muraglione c’è la scala per scendere in spiaggia.

Quella mattina eravamo giù nella parte nord della spiaggia dove il Circolo teneva le proprie imbarcazioni ed i gommoni per l’assistenza. Non ricordo quali lavori specifici stessimo svolgendo, ma come detto per noi la stagione praticamente non era ancora iniziata ed i ritmi di lavoro erano molto blandi. Quello che però ricordo, era l’affollamento della spiaggia nonostante non fossero neanche le 11. La spiaggia ospita anche le barche della Lega Navale, poste di fianco a quelle del Circolo, e quel giorno c’erano anche alcuni dei ragazzi della Lega con alcuni allievi. Intanto dalla strada scendono anche altri gruppi di studenti in gita, che prendono posto sulla spiaggia.
Dovevano essere le 11 quando finimmo i lavori sulle barche e risalimmo su per la scale. In quel momento stavano scendendo i ragazzi della scuola media Anna Magnani di Morena, vicino Roma. Noi salivamo, loro scendevano. Non dimenticherò mai quel momento, anche se ancora non potevo sapere il perché. Più tardi mi resi conto di essere passato proprio di fianco a due ragazzine di 14 anni che da lì a poco, non ci sarebbero state più.

Cala Rossano nel 2005, quando l’area del crollo era transennata e tabellata

La spiaggia come detto era già piena e gli ultimi a scendere dovettero prendere posto nella parte sud della spiaggia, vicino al grottone che si apre sotto il costone di roccia più alto. Di solito in quella zona non ci si mette mai nessuno, ma quel giorno non c’era altro posto. Solo il giorno prima, in uno dei nostri rari momenti di relax, c’eravamo noi che giocavamo a calcio in riva al mare, proprio dove quel maledetto 20 aprile si misero i ragazzi della Magnani.

In quel periodo al Circolo eravamo in quattro: il direttore del Circolo, Simone, e tre di noi istruttori. Quella mattina Simone e un altro istruttore erano saliti in paese per delle commissioni, mentre Mattia ed io rimanemmo in grotta.
Ero affacciato sul balcone e osservavo un centinaio di persone che giocavano e si rilassavano in spiaggia. Tutto era così tranquillo, così sereno. Guardavo quel panorama che avevo già osservato centinaia di volte, senza sapere che quel giorno la Morte stava per farci visita.

Erano circa le 11.30 e stavo guardando proprio lì.
All’improvviso lo vidi: un blocco di tufo di qualche di diametro si staccò dalla parete proprio sopra agli alunni della Magnani e scese sopra di loro. Non dimenticherò mai quel rumore; non fu un boato come quando crolla un masso o qualcosa di consistente, ma piuttosto uno sbuffo, come un mucchio di sabbia che cade a terra. Un soffio, non uno schianto. Per questo nei primi istanti non mi resi conto di cosa fosse successo, ricordo di aver pensato che fossero stati investiti da una pioggia di sabbia. Non colsi immediatamente la disperazione che stava piombando su quella spiaggia. Il crollo fu immediato e non ci furono alcune avvisaglie, di questo ne sono certo, perché la visuale dal punto di vista da cui osservavo era perfetta, ed in quel momento stavo guardando esattamente in quella direzione, dove stavano quei ragazzi.

Dopo qualche secondo però mi fu chiaro che quello non era un cumulo di sabbia. Chiamai Mattia che era in grotta. “Oh, è successo qualcosa…”. Uscì, guardò giù, probabilmente senza rendersi conto di cosa fosse realmente successo. Dall’alto si vedeva solo il panico che divampava come un incendio. Ci incamminammo verso la scala, e proprio in quel momento arrivarono anche Simone e Gianluca, un aiuto istruttore. Fermarono la macchina e scesero venendoci incontro.
“C’è stata una frana, scendiamo giù !”. Non ricordo se lo dissi io o fu Mattia, in ogni caso scendemmo giù sulla spiaggia e quello in cui ci ritrovammo fu un orrore che nessuno di noi aveva immaginato di dover vivere.

Il luogo della tragedia

Il tufo era sparso per una decina di metri, arrivava fino al mare perché in quel punto l’arenile è profondo non più di dieci metri. Sulla spiaggia c’erano un centinaio di persone, la maggior parte ragazzini di 14 anni con i loro professori e gli accompagnatori. Il panico e la disperazione erano assordanti.
I ragazzi scappavano via dalla frana in tutte le direzioni, alcuni si gettarono in acqua, mentre i professori disperati cominciarono a contare i ragazzi.
Proprio sul margine della frana vidi Francesca Colonnello. Accanto a lei c’era una persona, non ricordo chi fosse. Quello che ricordo fu che il suo corpo era come ruotato in maniera innaturale, e la parte inferiore delle gambe era bloccata sotto un paio di blocchi di tufo. Ricordo che non parlava, ricordo che i suoi occhi erano increduli, annebbiati, imploravano aiuto; era come se quegli occhi stessero disperatamente cercando di trattenere la vita all’interno del corpo. Incrociare quello sguardo anche per una frazione di secondo mi fece sentire improvvisamente piccolo, inutile. Non so spiegarlo meglio, ma la sensazione di inutilità di fronte a quella situazione la riconosco bene ancora oggi che sono passati più di cinque anni.
L’uomo che era a fianco a lei chiese a Simone, il direttore del Circolo Velico Ventotene e mio amico da quasi vent’anni, di provare ad aiutarla. Ricordo Simone che si chinava su di lei, forse tenendole la mano, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Stava cercando di trasmetterle la forza che in quel momento doveva trovare da qualche parte dentro di lui. Francesca stava lottando per la sua vita. Lui le fece la respirazione, la incoraggiò, la guardò negli occhi, in quegli occhi.
“Aiutala Simò”, disse qualcuno. Era più un urlo di disperazione che una richiesta.

Poi i professori e gli accompagnatori ultimarono la conta. Li sentii urlare: “ne manca uno !”. Urla di disperazione, “manca Sara !”. Sentire quella frase fu terribile. Mi resi conto che c’era ancora una ragazza sotto i nostri piedi, sepolta dalla frana. Ci stavamo camminando tutti quanti sopra, ma non c’era altro da fare.
Scavammo su quel cumulo di tufo come disperati, non so in quanti eravamo. C’erano alcuni degli ormeggiatori arrivati dal molo, c’eravamo noi e i ragazzi della Lega Navale, e altre persone che non ricordo che scesero immediatamente giù dal paese sentendo le urla provenire dalla spiaggia.
Mani affondavano nel cumulo spostando blocchi di tufo di varie dimensioni nella disperata speranza di fare in tempo.
Non so quanto durò quella fase; nel mio ricordo fu tutto così surreale che persi la cognizione del tempo. Ma ad un certo punto qualcuno spostò un sasso e la trovò. Le espressioni di chi la aveva trovata parlavano da sole. Mani sulla faccia, lacrime. Guardai di sfuggita dentro alla buca che avevano scavato, non ebbi il coraggio di soffermarmi su quella visione per più di un secondo. Ricordo solo che tutti si resero immediatamente conto che per Sara Panuccio non c’era niente da fare. Restava solo Francesca a lottare contro la Morte.

C’era un ragazzo, faceva l’accompagnatore ed era arrivato a Ventotene la prima volta solo un paio di giorni prima. Camminava avanti e indietro, le mani sulla testa, urlava di disperazione. Un grido così lo avevo sentito solo nei film. Era l’accompagnatore di quel gruppo, di quelle ragazze, era lui che aveva probabilmente guidato il gruppo e li aveva fatti mettere in quel punto. So che quel fardello lo porterà per sempre, ma sono certo che chiunque al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa, non c’era altro posto sulla spiaggia e come ho detto prima anche noi che su quella spiaggia ci abbiamo lavorato per anni ogni tanto ci ritrovavamo a rilassarci proprio in quel punto, sotto quel blocco di tufo maledetto. Ma in quel momento lui non poteva razionalizzare proprio niente; in quel momento tutto era solo buio e terribile. Lo incontrammo qualche giorno dopo, prima che ripartisse per la terra ferma. Non c’era vita nel suo volto, solo il vuoto.

Non so quanto impiegò l’ambulanza ad arrivare, so solo che ci sembrò troppo. Quando i medici scesero giù tutti ci aggrappammo alla speranza che potessero aiutare quelle due povere ragazze, ma passò poco che un velo bianco fu posato sul corpo di Sara, mentre Francesca lottava per la vita, che scivolava via lenta.
Scesero le autorità, i carabinieri, il sindaco. Arrivarono cioè quelli che avrebbero dovuto mettere in sicurezza quella spiaggia…

Trasportarono Francesca con la barella su per la scalinata che porta all’eliporto in cima a Punta Eolo, dove un elicottero era in arrivo da Formia. Molti li seguirono, e presto le voci che cominciarono a circolare spazzarono via quel granello di speranza a cui tutti quanti eravamo aggrappati con le unghie e con i denti. Anche Francesca non ce l’aveva fatta.
Vidi Simone piangere, dietro gli occhiali scuri. Certo che piangeva, posso solo immaginare quello che stesse provando in quel momento. Gli ultimi istanti di coscienza di Francesca lui era stato accanto a lei, aveva condiviso la sua paura, il suo dolore, il suo lento abbandonarsi nell’oblìo. Non sono molte le persone che avrebbero avuto il coraggio di farlo.

L’ex governatore del Lazio Polverini e l’ex sindaco di Ventotene Geppino Assenso

I Carabinieri transennarono la zona della frana (è transennata ancora oggi), arrivarono le autorità e si trasferirono tutti all’eliporto, in cima a Punta dell’Arco. C’era ancora l’allora governatore del Lazio, Renata Polverini e altri funzionari statali in divisa. Arrivò lo Stato italiano insomma, come sempre con qualche minuto di fatale ritardo. O Anni, di ritardo.
Arrivarono anche i genitori delle ragazze. Non c’erano e non ci sono parole.

I giorni che seguirono furono surreali, davvero. Ricordo Gianluca, l’aiuto istruttore, un ragazzo di sedici anni di quelli che amano stare sempre al centro dell’attenzione, uno di quelli che ha sempre una battuta pronta, a volte anche troppo. Uno che non si azzitta mai, in poche parole. Non fece una battuta per almeno una settimana, non un sorriso.
Credo che per tutti noi che eravamo presenti da quel momento la spiaggia di Cala Rossano non sia più la stessa, e la cicatrice che c’è sulla parete di tufo dalla quale si staccò quel blocco, è la stessa cicatrice che rimarrà per sempre nei nostri cuori e nella nostra memoria.

Quasi quattro anni dopo sono arrivate le condanne per i responsabili: 2 anni e quattro mesi per il sindaco, Giuseppe Assenso e per il responsabile del servizio tecnico del comune Pasquale Romano; un anno e quattro mesi per l’ex sindaco Vito Biondo e per il responsabile del genio civile di Latina Luciano Pizzuti.
Non entro nel merito perché non mi interessa; due ragazze di 14 anni sono morte per la superficialità endemica di questo Paese. Sono morte perchè in Italia i problemi si risolvono solo se causano delle tragedie, e posso dire che fino al giorno stesso di questo dramma c’erano le trivelle che percuotevano la strada proprio sopra al grottone e le vibrazioni si sentivano a centinaia di metri di distanza. Sassi piccoli o grandi piombano giù dalle pareti ripide della costa ventotenese da vari punti, ogni anno. Ed ogni volta bisogna solo sperare che non ci sia nessuno nella loro traiettoria mortale, nonostante molti barcaioli continuano a portare i turisti nei punti a rischio dell’isola, omettendo di informare i clienti sul rischio mortale che corrono solo per farsi un bagno.

L’isola transennata, dopo

I ragazzi di Dolomiti Rocce, che misero in sicurezza altri punti dell’isola giudicati pericolosi (compresa la parete che sovrasta la grotta del Circolo) ci hanno detto che quel genere di operazioni sono considerate di routine. Basta farsi un giro dalle loro parti per capire che nel ventunesimo secolo, in Italia, non è accettabile morire così.
Questo non è un articolo tecnico come ho detto, è solo un racconto di un testimone diretto di quella tragedia, e non voglio quindi entrare nel merito di queste considerazioni, anche perché ci ha già pensato il Tribunale ad attribuire le responsabilità; leggere le motivazioni della sentenza fa male perché mostra la solita mala gestione delle Istituzioni che rimane impunita fino a che qualcuno non ci rimette la vita. E spesso questo non basta neanche, visti i progetti dello stesso sindaco successivi alla tragedia.

In questo paese si dimentica subito tutto: le menzogne, i criminali, la Storia. Tutti noi però, Sara e Francesca non le dimenticheremo mai.”

Fonte: TeleFree

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Il pregiudicato Assenso invoca l’Europa, come Berlusconi

Un ricorso davanti alla Corte di Giustizia Europea? E perché no! La giornata dell’ex sindaco di Ventotene Giuseppe Assenso è iniziata con una serie di telefonate ricevute di solidarietà e di vicinanza umana, la prima della quale gliel’ha fatta uno dei suoi avvocati di fiducia, il professor Franco Coppi, l’ex legale del sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti. La telefonata al dottor Assenso è arrivata di buon mattino quando la carta stampata locale pubblicava l’attesissima sentenza della Corte di Cassazione sulla tragedia di Cala Rossano a Ventotene, di cui sono state vittime il 20 aprile 2010 due giovanissime studentesse romane, Sara Panuccio e Francesca Colonnello, di 13 e 14 anni, responsabili di trovarsi “nel posto sbagliato nel momento sbagliato” e travolte da un costone di tufo staccatosi dalla falesia della spiaggia mentre partecipavano ad un campo scuola ambientale.

La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Fausto Izzo, aveva confermato da poche ore la condanna a due anni e quattro mesi di carcere per omicidio colposo nei confronti proprio dell’ex sindaco dell’isola Geppino Assenso e ad un anno e dieci mesi di reclusione nei riguardi del suo predecessore Vito Biondo mentre, a sorpresa, aveva emesso una sentenza con rinvio con cui l’ex dirigente del settore urbanistica del comune, Pasquale Romano, e l’ex dirigente del Genio Civile di Latina, Luciano Pizzuti, dovranno sostenere un processo bis di secondo grado ma in una sezione diversa della Corte d’appello in cui si era svolto l’11 settembre scorso il primo dibattimento. Il professor Coppi vuole vedere ora l’ex primo cittadino di Ventotene e, probabilmente, non per mero spirito umanitario o di solidarietà. Bisogna studiare il da farsi e Assenso, nonostante qualche acciacco derivante dall’età, non vuole starsene con le mani ma verificare quanto è possibile fare per contrastare una “sentenza ingiusta figlia di un processo mediatico”.

Il ricorso, alla stessa stregua di Silvio Berlusconi, davanti la Corte di Giustizia europea è una soluzione possibile ma bisogna attendere di conoscere le motivazioni della sentenza letta dal presidente della quarta sezione penale della Cassazione che si conosceranno non prima di trenta giorni. Intanto sia Assenso che Biondo (anch’egli ha un quadro clinico non dei migliori) non andranno in carcere, soluzione che lo stesso codice preclude per alcune ragioni. Addirittura la condanna della Suprema Corte per Biondo è sospesa perché inferiore ai due anni. Assenso non potrà andare in carcere in quanto la sua pena non supera i tre anni di reclusione. E allora? Bisogna solo attendere e ad attendere dovrà essere il solo Giuseppe Assenso: gli dovrà essere notificato il dispositivo della sentenza della Cassazione e poi, motivazioni a parte, chiedere entro un mese l’affidamento in prova ai servizi sociali. A decidere con un’udienza ad hoc sarà il Tribunale di Sorveglianza che per questi casi potrebbe riunirsi non prima di sei-otto mesi.

La notizia della sentenza della Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello per Pasquale Romano e Luciano Pizzuti,è stata accolta con legittima soddisfazione da entrambi gli imputati che dovranno sostenere sì un processo bis di secondo grado ma sanno già che sarà una formalità in quanto dal 17 febbraio 2018 sono scattati i termini della prescrizione. Che sia finita una terribile “via crucis” processuale lo sa l’intera famiglia Romano che, appresa la notizia dall’avvocato Luca Scipione, ha fatto molto tardi venerdì sera per salutare la fuoriuscita da un lungo tunnel in cui era piombata dalla primavera di otto anni. E Romano era preparato al peggio- secondo alcune indiscrezioni – nel senso che in caso di condanna da parte degli “ermellini” già lunedì il suo datore di lavoro, il comune di Ventotene, avrebbe avviato le procedure per il suo licenziamento. E invece il funzionario sarà regolarmente al suo posto di lavoro presso l’ufficio tecnico della Riserva Marina di Ventotene e Santo Stefano presso la quale è distaccato da tempo.

A parlare di una sentenza “dai due volti” è lo storico legale di Romano, l’avvocato Luca Scipione, che in un’intervista video rilasciata in esclusiva a Saverio Forte, denuncia una “disparità di trattamento” tra i due ex amministratori coinvolti in questa triste e tragica vicenda e i due dirigenti pubblici. L’avvocato Scipione sottolinea un aspetto che dal 2014 – a suo dire – è finito nel dimenticatoio in maniera inverosimile. Ricorda che il magistrato che produsse la sentenza di primo grado di condanna per Assenso, Biondo, Pizzuti e Romano, l’ex giudice monocratico Carla Menichetti del Tribunale di Terracina (ora – ironia della sorte – componente del collegio giudicante della stessa… quarta sezione penale della Cassazione), rimandò gli atti alla Procura della Repubblica di Latina chiedendo di continuare le indagini perché i veri colpevoli erano altrove. Alcuni funzionari della Regione Lazio sentiti come testi nel dibattimento? Non lo si saprà mai anche perché la vicenda è proceduralmente chiusa, prescritta.

Nell’intervista l’avvocato Scipione, infine, si pronuncia sull’accanimento personale che il papà di Sara Panuccio, Bruno, continua a riservare con le sue dichiarazioni stampa nei confronti dell’ex sindaco di Ventotene, tra i primi, in qualità di medico, a prestare il 20 aprile del 2010 i primi soccorsi alle due ragazzine del quartiere romano di Sant’anna Morena e ad adopererai con le agenzie di assicurazione nel corso degli ultimi anni e mesi perché le due famiglie beneficiassero – per quanto possa servire per la tragica scomparsa delle due studentesse – di un risarcimento economico. E questo ristoro è avvenuto in questi giorni con due risarcimenti danni: il primo della Regione Lazio e del Comune di Ventotene, che sfiora il milione di euro per ciascuna parte civile, il secondo, di 160mila euro erogato dall’assicurazione della scuola media che frequentavano Sara e Francesco.

Guarda l’intervista all’avvocato di Pasquale Romano

Fonte: TempoReale.info

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Ventotene cuore di pietra

Non ha pace la struttura per anziani di Ventotene, nella quale lavorano 8 persone e che attualmente ha solo 4 ospiti. Ovviamente le spese sono insostenibili, basti considerare che la gestione è di oltre 300 mila euro annui, così l’amministrazione comunale ha pensato di affidarla ad una cooperativa esterna, la quale ha deciso di rientrare nelle spese aumentando gli ospiti. Non più solo anziani, infatti, dal primo marzo, arriveranno in struttura anche donne, mamme con bambini in situazioni di disagio.

Monta così la protesta in paese, capeggiata da alcuni abitanti, che hanno anche raccolto un discreto numero di firme per mostrare la contrarietà alle istituzioni. Il sindaco, dal canto suo, non ne vuole sapere dei dissidi, in quanto valuta la situazione gestita da una “minoranza” e va avanti per la sua strada, anteponendo al disagio il rischio chiusura.

Questa mattina, dunque, nella piazza principale dell’isola dove ebbe origine l’idea dell’Europa unita, coloro che si oppongono a questo nuovo utilizzo della struttura per anziani, sono scesi in piazza a suon di striscioni che recitavano “Non solo le mamme dicono No”, “Ventotene è accogliente con chi sceglie di viverla”, “Liberi di scegliere il nostro futuro”, “No ad ulteriori disagi”.

Fonte: H24 Notizie

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Bruno Panuccio: sentenza di civiltà per un futuro piú sicuro per tutti

“Qualche considerazione bisogna farla , mi è d’obbligo , ve lo devo.
Innanzitutto sia ben chiaro che non sono per niente contento della sentenza , non c’è da essere felici nel sapere di aver perso una figlia a causa delle responsabilità altrui.
Della sentenza sono soddisfatto , che significa ben altro , era l’obiettivo da me prefissato dal 20 aprile 2010 , un traguardo che per molti pareva una chimera.
Io stesso ero ben cosciente che sarebbe stato improbabile il suo raggiungimento , nonostante fossi fermamente convinto della colpevolezza dell’allora sindaco Assenso.
Tale convinzione nacque subito dopo la tragedia : qualcuno mi fece vedere l’intervista che rilasciò in cui dichiarava la fatalità dell’evento e la sua estraneità di responsabilità in quanto ignaro del pericolo.
Capii subito che mentiva , spudoratamente , mancando così anche di rispetto a Sara e Francesca , ad Athena che lottava tra la vita e la morte , a tutti noi ed anche, se mi è permesso, a tutti voi.
Io l’analisi sull’assurdità del permettere che i ragazzi fossero sotto quel pericolo evidente la espressi immediatamente , ma dopo aver visto lui , tutto appariva ancor più chiaro.
Da quel momento è incominciato il cammino che ci ha portato sino all’esito di oggi.
Ricordo quanti mi suggerivano di lasciar perdere , che tutto sarebbe stato vano , che mai in Italia , come amministratore pubblico, nessuno era stato condannato per il dissesto idrogeologico e le vittime conseguenti ,che io ero un comune cittadino senza armi mentre loro….che mi sarei solo ulteriormente ferito.
Ed invece questo avevo di vantaggio , io non avevo nulla da perdere , più male di quanto mi era stato fatto non era possibile.
Ed allora scopri che a Ventotene con le frane ci convivono da sempre , non per colpa ma per natura.
Che le stesse frane vengono evidenziate per chiedere un mare di soldi allo stato , che sono un volano economico per distribuire appalti in cui gli amici degli amici mangiano a quattro ganasce , e che la pubblicità delle stesse frane, allo stesso tempo, vengono nascoste , perché di pari passo bisogna pensare agli introiti derivanti dal turismo , in particolare quello scolastico ( fino alla tragedia primo sito come numero di presenze di campi scuola ).
Tanto non succederà mai nulla di grave , pensavano forse anche in buona fede , con il cervello ed il cuore annebbiati dal denaro .
Oggi abbiamo un precedente giuridico che il nostro paese ed i suoi amministratori non possono ignorare.
Il nome di Sara e Francesca , in futuro e spero il meno possibile , saranno ancora enunciati nelle aule di tribunale.
I loro nomi , sono il riassunto ed il rispetto verso quanti le hanno precedute in egual modo in questo paese , penso a Zampilieri , a Genova , alla Sardegna , ecc. ( l’elenco sarebbe infinito ) ,
I loro nomi stanno a ricordarci che non sono numeri , ma vite perse , che dietro ogni tragedia ci sono famiglie cui resta in eredità un doloroso fardello , che ognuno porta secondo le proprie forze ed il proprio carattere.
io il mio cammino da allora lo dovevo in primo luogo a Sara ,
ai suoi fratelli ed a mia moglie , come anche a Francesca ed alla sua famiglia, mano mano ho scoperto che lo dovevo a molti altri .
E stato tutto naturale , niente di eroico e credo mi sia pesato meno di quanto possa apparire agli altri.
Ci sarebbe tanto da scrivere ancora , ma per ora chiudo dicendo Grazie a quanti mi sono stati vicini in questi anni.”

Bruno Panuccio

Fonte: Facebook

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Geppino Assenso e Vito Biondo condannati definitivamente per omicidio

Giuseppe Assenso e Vito Biondo: condannati in via definitiva. Pasquale Romano invece verrà processato di nuovo

E’ arrivata in tarda serata l’attesissima sentenza della Corte di Cassazione sulla tragedia di Cala Rossano a Ventotene, quando il 20 aprile 2010 due giovanissime studentesse romane, Sara Panuccio e Francesca Colonnello, di 13 e 14 anni, morirono travolte da un costone di tufo staccatosi dalla falesia della spiaggia mentre partecipavano ad un campo scuola ambientale. La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Fausto Izzo, ha confermato la condanna a due anni e quattro mesi di carcere per l’ex sindaco dell’isola Geppino Assenso e ad un anno e dieci mesi di reclusione per il suo predecessore Vito Biondo mentre, a sorpresa, ha emesso una sentenza con rinvio con cui l’ex dirigente del settore urbanistica del comune, Pasquale Romano, e l’ex dirigente del Genio Civile di Latina, Luciano Pizzuti, dovranno sostenere un processo bis di secondo grado ma in una sezione diversa della Corte d’appello in cui si era svolta a settembre il processo. Per i due amministratori, dunque, è stata confermata la sentenza dell’11 settembre scorso con cui proprio la prima sezione della Corte D’appello di Roma aveva confermato integralmente il precedente verdetto emesso nel febbraio 2014 dall’ex giudice monocratico del Tribunale di Terracina (da pochi mesi era stata soppressa la sezione di Gaeta del Tribunale di Latina) Carla Menichetti su quanto avvenne in una tranquilla mattinata di un giorno di primavera di otto anni fa.

I giudici di secondo grado con l’ipotesi di omicidio colposo avevano condannato di nuovo a due anni e quattro mesi di reclusione l’ex sindaco dell’isola Giuseppe Assenso e l’ex responsabile della ripartizione tecnica del comune, Pasquale Romano mentre aveva confermato anche la condanna ad un anno e dieci mesi anche per gli altri due imputati, appunto il predecessore del sindaco Assenso, Vito Biondo, e il dirigente del Genio Civile di Latina, l’ingegner Luciano Pizzuti. Per i due tecnici Romano e Pizzuti, dunque, è stata annullata la precedente sentenza e dovranno nuovamente affrontare il processo in appello, sebbene ormai sia subentrata – ufficialmente decorre da sabato 17 febbraio – la prescrizione. L’udienza davanti alla Suprema Corte si era inaugurata con la durissima requisitoria del Procuratore Generale che aveva chiesto la conferma in toto delle condanne d’appello per i quattro illustri imputati. Il loro collegio difensivo, formato dagli avvocati Franco Coppi, Alessandro Cassiani, Dino Lucchetti, Renato Archidiacono, Luca Scipione, Lino Magliuzzi e Gianni Lauretti, aveva sollecitato, invece, l’annullamento della sentenza di condanna per i loro assistiti evidenziando come le motivazioni, sia nel giudizio di primo che di secondo grado, fossero “decisamente lacunose e carenti sotto il profilo tecnico e amministrativo”. Al processo in Cassazione hanno partecipato anche i genitori di Francesca e Sara che, attraverso gli avvocati Pascucci, Capuzzi e Tauro, già costituiti parte civile, hanno accettato la transazione per il risarcimento da parte di Regione Lazio e Comune di Ventotene di un milione di euro per ognuno. In una esclusiva intervista audio il papà di Sara Panuccio, Bruno, ha dichiarato la sua soddisfazione per l’esito della Suprema Corte e, in merito all’aspetto risarcitorio, ha aggiunto “di non aver visto ancora un euro” pur confermando la conclusione di una transazione bonaria avvenuta in questi giorni con il comune isolano e la Regione Lazio per conto del Genio Civile.

Ma perché è passata in giudicato la sentenza per Assenso e Biondo mentre dovranno un secondo processo d’appello Romano e Pizzuti? Lo si capirà dalle motivazioni che illustrerà la quarta sezione della Cassazione ma sembra – e lo ribadisce Bruno Papà nell’intervista audio di seguito – che i due ex sindaci, in qualità di massimi responsabili della Protezione civile a Ventotene, avrebbero dovuto prevedere il pericolo che ha cagionato il crollo mortale a ridosso della spiaggia di Cala Rossano. Due curiosità a margine dell’epilogo di questa triste e tragica vicenda: il processo in Cassazione se si fosse celebrato nella giornata di sabato 17 febbraio avrebbe subito i termini della prescrizione, una circostanza tanto temuta dai familiari delle due vittime. E poi, un giudice della quarta sezione penale della Corte Cassazione è la dottoressa Carla Menichetti, il magistrato che ha emesso quattro anni fa la prima sentenza di condanna quando era in servizio presso l’ex Tribunale di Terracina.

Ascolta l’intervista di Bruno Panuccio

Fonte: TempoReale.info, Il Messaggero


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La protesta delle mamme di Ventotene

Alla società “Utopia 2002” di Sezze è stata affidata dal Comune di Ventotene la gestione della Casa di Riposo per Anziani dell’isola. La Società in questione si occupa tra l’altro di ragazze madri e persone con problemi vari. Da qui nasce il timore delle mamme di Ventotene: vedere l’isola affollata da persone con problemi e la scuola, frequentata dai loro figli, stipata da altrettanti bambini “problematici”. Questo in sintesi, è il contenuto dell’articolo apparso su “Tempo Reale info”, firmato da Saverio Forte, il cui file – per completezza – riporto in calce a quanto mi accingo ad illustrare. Da ulteriori notizie, pare che sabato prossimo ci sarà una manifestazione in piazza Castello su tale “grave problema”.

Vi confesso che dopo una prima lettura, mi sono immediatamente ricordato di quanto scriveva Giuseppe Tricoli nella sua Monografia delle Isole del Gruppo Ponziano a proposito della colonizzazione di Ventotene da parte dei Torresi nel 1768. Quella volta fu il vescovo di Gaeta a protestare perché “In tale occasione surse il bizzarro pensiere al consigliere Pallante di sbarazzare la Vicaria, col mandare 200 ladri ad abitare Ventotene, ed altrettante prostitute rilevate dai luoghi di penitenza. (…) Ne’ primi momenti ciascuno mostravasi sollecito allo applicarsi pel rispettivo mestiere, ma tosto svegliaronsi i vizi, ritornavano nell’ozio, nella nequizia, nelle risse e tutti alla tresca con quelle sbrigliate libertine; in modo che gli stessi conjugati spesso si davano in preda a vita licenziosa. Il sovrano, proprio su sollecitazione del vescovo, nell’aprile del 1771 fece tornare nella capitale del regno quella genìa. (v. pag. 200 Ristampa op. citata a cura di Ultima Spiaggia).

Nel ‘700 neppure la Chiesa metteva in pratica la parabola del Vangelo: il buon pastore che mette in salvo la pecorella smarrita e anche per questo il nobile tentativo del Consigliere del Re, Pallante, di consentire a quei diseredati di riscattarsi, fallì miseramente. Ma eravamo nel Secolo XVIII dove chi nasceva sotto la cattiva stella era purtroppo destinato a rimanervi vita natural durante, anche perché a quei tempi nel Regno di Napoli (ma non solo) la popolazione era divisa in tre classi ben distinte e separate: gentiles (nobili), comuni e damnati ad triremes ( i galeotti), come pure rilevai in un registro parrocchiale dell’epoca nella Chiesa della SS. Trinità di Ponza, nel corso di una mia ricerca.

Ora siamo nel XXI secolo. Una sola classe sociale, i cittadini, formano il popolo e in nome di questo sacrosanto principio non dovrebbero esserci più emarginati. Sottolineo non dovrebbero … Allora da che cosa scaturisce questa “alzata di scudi” delle mamme? A mio modo di vedere da una carenza di informazioni; questo fatto le induce a credere che un probabile arrivo di queste persone più sfortunate, una volta alloggiate nella locale Casa di Riposo, siano lasciate in balìa di loro stesse, più o meno come accadde nella medesima isola circa tre secoli prima, a quel nutrito gruppo di sventurati napoletani. Un progetto del genere, al giorno d’oggi, non può prescindere dall’evidenziare gli operatori addetti all’assistenza di queste persone: psicologi, personale sanitario, educativo e così via e strategie relative.

Ma aggiungo di più. Inserire nella scuola “bambini con problemi” non è affatto una iattura, è una opportunità una ricchezza, purché non lasciati in balìa di loro stessi ma seguiti da personale preparato. Per questo motivo la normativa scolastica vigente prevede l’inserimento degli alunni “diversamente abili” nelle varie classi delle scuole di ogni ordine e grado con l’insegnante di sostegno che affianca nell’opera educativa e didattica il titolare. Ma al di là della normativa, per esperienza diretta di maestro prima e di dirigente scolastico poi, vi assicuro che essi rappresentano un arricchimento dal punto di vista umano ed educativo, prima ancora che didattico.

Non so se la Società Utopia 2000 abbia pianificato o meno di alloggiare nella Casa di Riposo di Ventotene, oltre agli anziani, anche ragazze madri e altre persone, ma alla luce di questi timori delle mamme, è bene che, assieme all’Amministrazione comunale, illustrino chiaramente alla popolazione residente i loro progetti futuri nei vari dettagli sopra accennati.

Silverio Lamonica

Fonte. Ponza Racconta

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Ventotene: attesa di giustizia

Venerdì mattina, dopo quasi otto, dovrebbe calare il sipario, processualmente parlando, sulla tragedia di Cala Rossano a Ventotene quando il 20 aprile 2010 quando due giovanissime studentesse romane, Sara Panuccio e Francesca Colonnello, di 13 e 14 anni, morirono travolte da un costone di tufo staccatosi dalla falesia della spiaggia mentre partecipavano ad un campo scuola ambientale. Si svolgerà infatti, il processo davanti la Corte di Cassazione, il cui pronunciamento è molto atteso per conoscere il futuro giudiziario dei quattro illustri imputati. Soprattutto dopo che lo scorso 11 settembre la prima sezione della Corte d’Appello di Roma aveva confermato integralmente la sentenza emessa nel febbraio 2014 dall’ex Tribunale di Gaeta su quanto avvenne in un tranquillo giorno di primavera di otto anni fa.

I giudici di secondo grado con l’ipotesi di omicidio colposo avevano condannato di nuovo a due anni e quattro mesi di reclusione l’ex sindaco dell’isola Giuseppe Assenso e l’ex responsabile della ripartizione tecnica del comune, Pasquale Romano, mentre era stata confermata la condanna ad un anno e dieci mesi anche per gli altri due imputati, il predecessore del sindaco Assenso, Vito Biondo, e il dirigente del Genio Civile di Latina, l’ingegner Luciano Pizzuti. La Corte d’appello aveva anche disposto la stessa provvisionale, quale risarcimento danni, emessa dall’ex giudice monocratico Carla Menichetti nei confronti dei familiari delle due vittime costituitisi parte civile, due milioni e 600 mila euro.

L’epilogo del processo d’appello, dopo l’udienza inaugurale di giugno e alcuni rinvii tecnici, aveva avuto una durata “flash”: gli avvocati Franco Coppi e Giuseppe Zupo, in rappresentanza degli altri componenti del collegio difensivo – composto anche da Dino Lucchetti, Renato Archidiacono, Luca Scipione, Gianni Lauretti e Lino Magliuzzi – avevano chiesto il proscioglimento per i loro assistiti mentre il rappresentante della procura generale aveva insistito per la conferma delle condanne di primo grado evidenziando come la parete rocciosa sovrastante la spiaggia di Cala Rossano non fosse stata interessata da alcun provvedimento di interdizione. Se pende la pesantissima spada di Damocle dell’aspetto risarcitorio, il processo in Cassazione potrebbe conoscere una svolta clamorosa se dovessero scattare – come temono i genitori e i familiari delle due giovanissime vittime – i termini della prescrizione.

Fonte: TempoReale.info

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Ancora crolli a Ventotene

A distanza di tre settimane dall’ultimo crollo, avvenuto nei pressi di Cala Rossano a inizio anno, una nuova frana torna “protagonista” a Ventotene.

L’altro ieri, infatti, a Cala Bosco, alle spalle del cimitero isolano, è crollato un costone roccioso. Fortunatamente, nonostante l’amarezza dei residenti, un piccolo lieto fine, a volerlo trovare, c’è: la roccia franata è finita direttamente in mare, non facendo registrare né feriti né altri danni.

Ma l’appello degli isolani resta. Ci sono zone di Ventotene che necessitano di interventi significativi. C’è bisogno di una barriera di scogli che protegga la costa dalle mareggiate.

Intanto, ad occuparsi della situazione è intervenuta, oltre all’amministrazione comunale, anche la Capitaneria di porto.

Fonte: Il Faro online

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