Salvatore, l’orso rosso, che con quel suo accattivante accento partenopeo ti incita ad arrampicarti per l’erto sentiero dell’isolotto di Santo Stefano, che da uno dei suoi quattro fortunosi approdi conduce al settecentesco carcere borbonico.
Sbarca dal gommone per primo e porgendoti la mano, ti fa saltare dal natante sulla viscida roccia di quel maledetto approdo dove persero la vita alcuni galeotti. Questa notizia la utilizza per iniziare il suo accorato racconto della storia dell’Ergastolo e dei suoi ospiti illustri e non.
Raggiunta la cima dell’isolotto, accaldati, sudaticci e stanchi i visitatori sono fatti accomodare su un muretto sotto un albero di eucalipto dalla grande chioma, capace di ombreggiare la comitiva e con quel suo fare da furetto dagli occhi sempre vigili, inizia a parlare della storica Alcatraz italiana: “l’ergastolo di Santo Stefano in Ventotene”. Una struttura dalla particolare forma architettonica ad esedra, una costruzione unica al mondo che si rifà all’architettura panottica di Jeremy Bentham. Ma Salvatore molto discretamente precisa che Francesco Carpi, il suo progettista nell’ideare questo edificio dovette sicuramente aver presente il teatro San Carlo di Napoli, e con semplice genialità pensò di invertire i ruoli degli spettatori con quelle dei detenuti e quella dell’attore con quella della guardia. Dopo un interessante exursus storico-architettonico-criminologico, a volte non raccontato ma recitato, finalmente sbatte tutti discretamente in galera.
Attraverso uno stretto e buio corridoio dove erano sistemati i vari uffici amministrativi (a sinistra lo storico “ufficio matricola”) della prigione si entra nell’anfiteatro penale, dove il sole “cocente” che accoglie gli odierni visitatori, sicuramente non riuscì a scaldare ieri, quei cuori di pietra dei suoi vecchi ospiti loro malgrado. Una luce abbagliante mostra lo scenario dall’accattivante forma architettonica di chiara impronta mediterranea. Arconi a sesto ribassato su due piani con le porte di ingresso alle singole celle e finestrelle con grate di ferro cortili di passeggio, cappella centrale … ma si può ammirare solo quello che resta. Quello che la mano vandalica dell’uomo non è ancora riuscita a divellere e quello che gli organi e gli uomini competenti devono salvare e recuperare per i posteri.
Dopo una rapida panoramica sugli ospiti illustri (Settembrini, Pertini …) e sulle celebri evasioni di criminali di grosso calibro, il discorso torna mestamente sullo stato di abbandono della struttura.
Salvatore la guida non uscita da nessun istituto turistico ma formatasi caparbiamente ed orgogliosamente sul campo illustra con una vena di malinconia prima e poi man mano con una più palese rabbia lo spettacolo desolante delle mura cadenti delle porte scardinate, dalle grate smurate dai numeri delle celle staccati e portati via come dark-souvenir, mentre anche le stesse autorità comunali non hanno potuto o saputo porre freno.
Salvatore è sofferente e lo si legge negli occhi, è arrabbiato, è stanco di denunciare la portata di tale scempio alle sorde autorità, ma non è affatto domo. Dai Salvatore speriamo che il tuo sviscerato amore per la tua terra darà presto i frutti sperati. Non mollare, siamo tutti con te, un tal tesoro non può essere abbandonato. Santo Stefano di Ventotene, la “perla” del Mediterraneo, come la Fenice, presto resusciterà dalle sue ceneri e le varie autorità con la banda in testa, sbraitando e sbrodolandosi finalmente potranno tagliare trionfalmente i nastri tricolori delle inaugurazioni … !
Fonte: Agenzia Fuoritutto