“Oggi è l’anniversario della morte di mia figlia, ma per me non ha alcuna importanza, perché per me è sempre 20 aprile: lo è stato ieri, lo è oggi e lo sarà domani. Come ho sempre detto, noi siamo ergastolani del dolore”.
A pochi giorni dall’udienza preliminare che dovrà decidere il rinvio a giudizio del sindaco di Ventotene, Giuseppe Assenzo e di altre quattro persone, Bruno Panuccio parla a Panorama.it della morte di sua figlia Sara e della sua compagna di classe Francesca Colonnello, uccise da una frana sull’isola pontina durante una gita scolastica.
Era il 20 aprile del 2010 quando dal costone di tufo di Cala Rossano si staccò un macigno che non lasciò scampo alle due studentesse, di 13 e 14 anni, della scuola media “Anna Magnani” di Roma.
Per quella tragedia la Procura di Latina ha accusato di duplice omicidio colposo gli amministratori locali, i funzionari del Comune e del Genio Civile. Il sindaco si è sempre difeso dicendo che quella spiaggia è la più sicura dell’isola e che nessuno avrebbe potuto prevedere quello che è accaduto. Ma nell’attesa che si apra il processo penale, oggi nel procedimento civile il Comune di Ventotene scarica le maggiori responsabilità sul tour operator, perché la visita a Cala Rossano non era prevista nell’itinerario della giornata, e sugli insegnanti per non aver impedito ai minori di mettersi “in situazioni tali da arrecare danni a se stessi e agli altri”.
L’anniversario di Ventotene cade proprio all’indomani dell’ennesimo incidente mortale che ha coinvolto uno studente spagnolo di 18 anni in gita a Roma, precipitato da un muretto mentre stava scappando alla vista dei carabinieri che lo avevano sorpreso a lanciare sassi alle auto in sosta.
Solo poche settimane fa aveva suscitato grande emozione la morte di ventidue bambini, coinvolti in un gravissimo incidente stradale a Sierre, nel cantone Vallese, in Svizzera.
Nell’anno scolastico 2010-2011 sono stati 760mila gli studenti italiani partiti per le visite di istruzione secondo dati forniti dal Touring Club Italiano. Momenti importanti e attesi dai ragazzi che talvolta, però, possono trasformarsi in esperienze drammatiche, per loro, le famiglie e gli stessi insegnanti.
Se gli incidenti più frequenti sono quelli che avvengono in strada durante il viaggio in pullman, non sono rari i casi in cui i ragazzi si fanno male, o addirittura perdono la vita, nel tentativo di raggiungere altre stanze scavalcando balconi e finestre degli alberghi.
Stavano invece trascorrendo qualche ora in spiaggia le due studentesse romane morte a Ventotene. Apparentemente solo una fatalità il crollo del masso di tufo che le ha travolte, ma non la pensa così il papà di Sara che da quel giorno ha deciso di intraprendere una battaglia in nome di sua figlia.
Signor Panuccio, oggi è il secondo anniversario della morte di Sara. Che significato ha per lei?
Per me il tempo è fermo a quel momento, è sempre 20 aprile. Dovrebbe essere un momento di riflessione soprattutto per gli altri. Se questo anniversario assume una valenza particolare è perché lunedì si deciderà sul rinvio a giudizio delle cinque persone indagate.
Il Comune di Ventotene respinge le accuse e se la prende con gli insegnanti. C’è stato un momento in cui anche lei ha ritenuto loro colpevoli della morte di sua figlia?
No, mai. I campi scuola ci sono sempre stati, soprattutto a Ventotene che è il sito laziale più frequentato dagli studenti delle scuole romane, compresa la mia figlia più grande. Lo scandalo è che i ragazzi sono stati portati in una spiaggia di pubblico accesso che però in realtà non era sicura. Già in precedenza c’erano stati altri crolli, ma nessuno aveva fatto niente. Nessuno ne è stato informato, non solo l’opinione pubblica, per non arrecare cattiva pubblicità all’isola, ma nemmeno chi sarebbe dovuto intervenire per la messa in sicurezza. Ed è per questo che gli amministratori sono indagati.
Qualcuno di loro le ha mai chiesto scusa?
In due anni non c’è mai stata una goccia di pentimento espresso a livello pubblico.
E’ evidente che nessuno potrà mai restituirle Sara, allora perché andare avanti per cercare a tutti i costi una verità su quanto accadde il 20 aprile del 2010?
Perché si tratta di una questione di civiltà. Perché quello che è successo a mia figlia non deve accadere a nessun altro, nemmeno a chi ritengo responsabile della morte di Sara e di Francesca. Perdere due ragazzine in questo modo è la cosa peggiore che possa succedere.
Cosa significherebbe per lei un’eventuale condanna degli amministratori pubblici di Ventotene?
Se questo accadesse sarebbe un precedente importantissimo perché costringerebbe altri amministratori pubblici – se non per coscienza personale, quanto meno per paura – a prendere provvedimenti per impedire che altre persone muoiano in questo modo.
Ha mai pensato che fosse giusto impedire ai ragazzi di andare in gita, considerando i rischi che possono correre?
Il pensiero ce l’ho, certo. Ma non ho mai pensato che fosse giusto impedire le gite. Io sono sempre stato felice di mandare i miei figli in campo scuola: ci ho mandato la più grande, ho mandato Sara e manderò il più piccolo, magari con più ansia, ma anche con un maggiore controllo preventivo da parte mia. Ma vietare i campi scuola, che sono una ricchezza culturale e di socialità per i ragazzi, assolutamente no. A patto che sia garantita la sicurezza, perché se è vero che non tutto il male è evitabile, altrettanto è vero che tutto deve essere fatto perché sia evitato.
Fonte: Panorama