«Sacrificate in nome del turismo»

Bruno Panuccio

Il padre di Sara: «Si conoscevano i pericoli, ma quei posti restarono agibili»

«Sono un ergastolano a cielo aperto, io. A casa lo ripeto sempre: siamo tutti morti in quel momento, quando arrivò la notizia di Sara, e siamo rinati nello stesso istante con un fardello: avere giustizia». Si fa presto a pensare che il tempo possa lenire il dolore e le ferite. Bruno Panuccio, 49 anni, di Morena, vicino Ciampino, padre di una delle ragazzine schiacciate dai massi su una spiaggia di Ventotene un hard-disk vivente dell’inchiesta, accuse cariche di dettagli, la voce che tuttora trema neppure ieri ha trovato un attimo di pace. «Come cittadino dice sono soddisfatto dei rinvii a giudizio chiesti dal pubblico ministero. Ma, sempre come cittadino, non ho niente di cui rallegrarmi: mia figlia e la compagna di classe, Francesca Colonnello, morirono perché bisognava salvare la stagione turistica dell’isola. È una verità sconcertante e non si può accettarla».
Non sarà troppo?
«Assolutamente no. Lo dicono i fatti. Cala Nave e Cala Rossano, il luogo dell’incidente, erano agibili perché non si poteva chiuderle ai visitatori (era il 20 aprile 2010, inizio della primavera e della stagione, ndr). Eppure il sindaco, Giuseppe Assenso, tuttora in carica, conosceva la situazione».
Tutto ricostruito nel suo blog.
«Tutto. L’ex Genio Civile di Latina aveva commissionato un intervento per mettere in sicurezza la parete da cui si staccarono i massi. Si parlava di palettatura orizzontale e verticale. Ma i lavori affidati al Comune furono fatti solo in parte. A Ventotene lo sapevano tutti».
Ma nessuno si preoccupò più di tanto.
«Le perizie della Procura, non quelle della difesa, sostengono che ci fu un’omissione totale e cosciente. Non si usò il buon senso del padre di famiglia. C’erano state frane e transenne dopo le frane. Ma l’amministrazione non ordinò i lavori che sarebbero stati necessari. A Ventotene, moralmente, sono tutti un po’ colpevoli».
Compresi i cittadini?
«Secondo me sì. Sono stati superficiali. È ovvio: nessuno voleva la morte di qualcuno. Neppure il sindaco Assenso. Ma anche lui, a caldo, disse una cosa non vera: “Non mi sarei mai aspettato un evento del genere”. Ma come? A Ventotene con le frane ci convivono. Gli isolani non vanno sotto quei costoni proprio perché ne conoscono i pericoli e forse l’abusivismo edilizio doveva metterli in allarme».
Che c’entra l’abusivismo?
«C’entra eccome. La cementificazione selvaggia dell’isola ha modificato il sistema naturale di scolo delle acque. Questa modifica ha finito per alterare la resistenza del tufo. Ecco i crolli a ripetizione».
Insomma, nulla di casuale.
«Nulla. Solo il nome e il numero delle vittime. Permette?».
Prego.
«Il rinvio a giudizio riguarda, oltre al sindaco, tre persone. Beh, doveva essere chiamata in causa anche l’Autorità di Bacino in quanto responsabile della sicurezza».
Ma è il nome di Assenso che la turba.
«Non voglio vedere “impiccato” nessuno. Né lui né gli altri. Mi aspetto solo che venga riconosciuta la loro responsabilità. So bene che è una persona anziana e che in questo Paese nessuno va in carcere per omicidio colposo. Ma avrebbe dovuto avere il pudore di dimettersi».
Invece è al secondo mandato.
«Ecco. Vede com’è Ventotene? Il dolore che sento dentro per Sara fa di me un ergastolano a piede libero. Assenso ha figli. Non può non capire».

Fonte: Il Messaggero

Guarda l’intervista a Bruno Panuccio sul TG5 del 2 Giugno 2011

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Una risposta a «Sacrificate in nome del turismo»

  1. hotel verona 3 stelle scrive:

    Il turismo Non è certo un buon motivo che ne giustifica la sacrificazione. A mio avviso, dopo ognuno è libero di pensarla come vuole…

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