«Cala Rossano, sindaco colpevole»

Sara Panuccio e Francesca Colonnello

Il padre di Sara Panuccio morta nel crollo del 20 aprile attacca Assenso e l’amministrazione

«Una morte stupida, inutile ed evitabile». Così in un’intervista rilasciata al programma di Rai 3 «Cominciamo Bene Estate» è tornato ad esprimersi Bruno Panuccio, il padre di Sara, una delle due adolescenti romane vittime lo scorso 20 aprile della tragedia di Ventotene quando un masso di tufo si staccò dalla parete di Cala Rossano colpendo una scolaresca. Da parte sua un altro durissimo attacco nei confronti del sindaco isolano Geppino Assenso, accusato di non aver preso i dovuti provvedimenti dopo i ripetuti allarmi lanciati dai media nei mesi precedenti la tragedia. «Si parlò di Ventotene subito dopo la tragedia di Messina – ha ribadito nell’intervista – ma non vi fu nessun provvedimento. Se in seguito all’incidente anche Cala Rossano è stata messa in sicurezza vuol dire che: o la perizia che la definiva sicura era sbagliata o è sbagliato il nuovo provvedimento». Dito puntato anche contro chi – sponda Comune – negli ultimi anni avrebbe consentito e talvolta agevolato l’abusivismo edilizio e l’abnorme utilizzo del cemento su un territorio grande poco più di un chilometro quadrato. «Ventotene è piena di vasconi romani che sono diventati muri per ville. Due case su tre non sono censite. Mi dispiace ma queste cose vanno dette». «Qui – ha aggiunto, riferendosi alla documentazione che attestava la sicurezza di Cala Rossano – ci si nasconde dietro una cartina. Il 95% dell’isola era considerata a rischio. Guarda caso rimanevano fuori dalla lista solo Cala nave e Cala Rossano. Il dubbio che mi viene è che le due spiagge servissero per il turismo, altrimenti nessuno sarebbe più venuto sull’isola. Loro dicono che hanno sempre fatto di tutto per prevenire ogni rischio. Mi spiace, ma nel 2009, l’operazione condotta da Protezione Civile e Legambiente, consentì il monitoraggio di tutta la costa. Nella graduatoria della sicurezza Ventotene risultò il quart’ultimo comune del Lazio, l’ultimo per quanto concerne i comuni rivieraschi. Non ho mai fatto supposizioni. Quello che ho detto fino ad oggi è suffragato dalle carte». Il ricordo va, inevitabilmente, alla tragedia e ai giorni successivi. «Sentii il bisogno di recarmi sull’isola per vedere da vicino dove mia figlia era morta. L’area era perimetrata con una fascetta. Scavalcai la recinzione, toccai il tufo e vidi che si sgretolava. Diedi un pugno e cascò un’altro pezzo. Nessuno si è mai preoccupato di allarmare i turisti. Continuerò la mia battaglia perché non ho più niente da perdere».

Fonte: La Provincia

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