Ventotene, ad un mese dalla tragedia della frana il padre di una delle vittime determinato a scoprire eventuali responsabilità circa la sicurezza
«Cerco le prove per incastrare chi ha permesso che mia figlia morisse, perché è come se l’avessero uccisa». A parlare è Bruno Panuccio, padre di Sara, la quattordicenne rimasta vittima insieme alla sua compagna di classe Francesca Colonnello nel crollo del costone nella spiaggia di Cala Rossano a Ventotene. Non si dà pace per quanto accaduto. Oggi è un mese che ha seppellito la sua Sara. «La morte di Sara e Francesca non è stata una “fatalità”, come invece ha scritto il sindaco di Ventotene Giuseppe Assenso nella lettera inviata a noi genitori delle due vittime e alle famiglie dei due ragazzi feriti, una è Athena, ed è ancora gravissima». Parole dure, rilasciate in un’intervista al quotidiano «Il Tempo» di Roma, che argomenta: «La spiaggia di Cala Rossano rientra nel bacino portuale e doveva essere chiusa. Il pontile con l’attracco dei traghetti è attiguo e vicino c’è il circolo velico. È abbastanza per farla rientrare nei bacini portuali. E qui la balneazione è proibita. Invece per Cala Rossano l’ordinanza ha funzionato al contrario: la spiagga è l’unico 5% di arenile aperto su un 95% chiuso». Quindi Cala Rossano, rientrando nei bacini portuali, doveva essere chiusa alla balneabilità ma nella realtà non è stato così. E Panuccio si chiede come mai: «Se non volevano rinunciare al turismo avrebbero potuto almeno rendere la spiaggia sicura». E a questo punto Panuccio vuole conoscere i nomi dei periti che hanno stabilito che Cala Rossano era sicura. «Io sto in caccia, il bersaglio mio ce l’ho – spiega – ci vorranno gli anni ma dall’idea che mi sono fatta all’inizio, a mano a mano sta quadrando tutto, pian piano escono fuori. Ventotene è patrimonio dell’Unesco, i soldi arrivano a palate, due terzi di costruzioni sono abusivi, al 75% si costruisce sul tufo, e passano i camion pesanti sopra la spiaggia dove c’è morta mia figlia. Mi chiedo: sono i geologi gli incompetenti o c’è dell’altro?».
Fonte: La Provincia