Così finì l’esilio imposto a oltre 2 mila detenuti politici. Tra loro combattenti come Sandro Pertini e l’uomo che disegnò il manifesto dell’Europa unita, Altiero Spinelli
Estate 2013: i turisti se ne vanno sorridenti, ma con il rimpianto di non poter restare di più. Settant’anni fa, altri ospiti salpavano dal porto romano con sollievo: finiva nell’agosto del 1943 la triste era di Ventotene isola di confino. Un’era che ha lasciato traccia profonda nella memoria dei ventotenesi e nei luoghi.
Se ne andarono a scaglioni: tra i primi, il 18 agosto, partì Altiero Spinelli; il 19 si imbarcarono albanesi e sloveni; il 20 un folto gruppo di anarchici. «L’ultimo gruppo di confinati, tra cui ancora alcuni comunisti, partì il 23 agosto». L’isola dava l’addio a metà della sua popolazione. Parte degli ex agenti della milizia decisero di restare trovando lavoro come operai, braccianti agricoli, netturbini.
Pochi giorni dopo, il 9 settembre, un contingente di soldati americani, sbarcati dal cacciatorpediniere Uss Knight, conquistò l’isola sconfiggendo il contingente tedesco di guardia al radiofaro senza spargimento di sangue. Frammenti di storia d’Italia. Eppure il Comune isolano non ha previsto alcuna celebrazione ufficiale: c’è solo un testardo libraio indipendente a tener puntato un riflettore sull’importante anniversario.
Fabio Masi ha riempito la sua «Ultima spiaggia», in piazza Castello di fronte al Municipio, di volumi che raccontano la storia dei reclusi di Santo Stefano e i confinati di Ventotene: molti li ha editati lui stesso, come Ventotene isola di confino, della brava scrittrice e storica isolana Filomena Gargiulo. E adesso si appresta a stampare centinaia di copie anastatiche del libretto rosso.
Dimenticate l’omonimia con l’antologia di citazioni di Mao Tse-tung: il libretto rosso , a Ventotene, era un quadernetto dal titolo «Carta precettiva» che veniva consegnato al loro arrivo ai confinati: elencava le 26 severe regole del confino, i visti, i permessi e la condotta del coatto. Proibito discutere di politica e fare propaganda, proibito frequentare pubbliche riunioni, proibito tenere relazioni con donne.
I prigionieri non potevano neppure ubriacarsi, ammesso che avessero avuto il denaro per farlo. Ma potevano leggere: nel catalogo della «Biblioteca circolante dei confinati» si scoprono titoli come Bel-Ami di Maupassant, Espiazione di Montepin, e Carlo Marx di Olgiati.
Va detto che l’isola ha perlomeno provato a rinsaldare la memoria dell’era del confino – tra gli anziani come tra i turisti – con quelle piastrelle di cotto che segnano le strade ricordando i luoghi storici: via delle Mense comuniste, Strada delle botteghe dei confinati, Mensa socialista (capo mensa Sandro Pertini). E con il Laboratorio Isole della Memoria (aperto nel maggio 2012; patrocinato da Comune e direzione della Riserva Marina Statale) che racconta la storia dei confinati nelle due isole.
Un plastico della «città confinaria» e diversi pannelli informativi, attendono di essere affiancati da testimonianze e immagini di coloro che spesero lunga parte delle proprie vite in isolamento forzato. Si trova nel seminterrato della Sala Polivante che è stata intitolata a Umberto Terracini, comunista eretico condannato con Gramsci ed espulso dal Pci quando ancora era confinato a Ventotene.
Tra la fine degli Anni Venti e il ’43 le isole principali dell’Arcipelago Pontino ospitarono 4.400 confinati politici. Tra i quali gli esponenti più importanti dell’opposizione al regime: dapprima a Ponza (2100 deportati, dal ’28), poi a Ventotene (2.292, dal ’32), con la seconda generazione di antifascisti, votata alla rivoluzione che avrebbe «cacciato il fascismo». Ora un albergatore, Pietro Pennacchio, progetta di riaprire il camminamento che le pattuglie fasciste di sorveglianza (200 militi suddivisi in 8 turni) percorrevano tutto intorno alla costa dell’isola, per evitare improbabili fughe: vorrebbe trasformarlo in un trekking storico cui collegare tanti antichi sentieri da strappare ai rovi e all’oblio.
In paese, intanto, si può passeggiare tra chiesa e caserma della Finanza per rivedere i luoghi descritti nella «giornata tipo» del detenuto politico raccontata dall’ex confinato Alberto Jacometti nel 1946: dove oggi c’è il campo da calcio sorgevano, fino ai primi Anni Ottanta, i Cameroni, i padiglioni in cui dormivano i confinati, un paio di botteghe di calzolai, nonché le 4 mense; poco oltre iniziavano i pollai e gli orti in cui i prigionieri producevano parte delle derrate alimentari necessarie al loro sostentamento. Verso il Pozzillo, c’era l’Infermeria. Qui e altrove i confinati ritenuti più pericolosi venivano pedinati notte e giorno.
Tanti gli ospiti noti: da Sandro Pertini a Luigi Longo, da Giuseppe Di Vittorio a Camilla Ravera, da Giorgio Amendola a Girolamo Li Causi e Pietro Secchi. Pertini vi era approdato due volte: la prima nel 1929 per essere rinchiuso nell’ergastolo di Santo Stefano; la seconda nel 1939, quando venne inviato in confino sull’isola principale.
Solo due anni dopo, su questi scogli, i sorvegliati Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni avrebbero individuato nella federazione europea la risposta ai nazionalismi e alla guerra, scrivendo quella che viene considerata la Bibbia della futura Ue: il Manifesto per un’Europa Libera e Unita, meglio conosciuto come «Manifesto di Ventotene». Le ceneri di Spinelli (morto nel 1986) sono inumate, per sua espressa volontà, nel cimitero dell’isola.
Fonte: Corriere della Sera
Lettere e pensieri dal confino: l’Italia antifascista
Ricorre il 23 agosto il 70esimo anniversario della partenza degli ultimi confinati politici da Ventotene, che dagli Anni Venti all’estate del 1943 fu trasformata dal Regime in una prigione a cielo aperto per oltre 2 mila antifascisti. Voci nel Deserto – associazione di autori, attori, e professionisti dello spettacolo che intende tener viva la memoria per evitare il ripetersi di tragici errori ed eventi storici – propone qui alcuni frammenti di memoria. Parole di Pertini, Amendola, Rossi, Spinelli e atnti altri che il confino lo vissero sulla propria pelle e che del confino sulle isole pontine fecero uno straordinario laboratorio politico. La prima testimonianza è la lettera con cui Sandro Pertini ruppe con la madre (il rapporto sarebbe stato faticosamente recuperato anni dopo) quando seppe che lei aveva avanzato in sua vece domanda di grazia.
Mamma, con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me. Se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto ti pentiresti amaramente di aver scritto una simile domanda.
Debbo frenare lo sdegno del mio animo, perché sei mia madre e questo non debbo mai dimenticarlo. Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. Tutto me stesso ho offerto ad essa e per essa con anima lieto ho accettato la condanna e serenamente ho sempre sopportate la prigione. E’ l’unica cosa di veramente grande e puro, che io porti in me e tu, proprio tu, hai voluto offenderla così? Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna – quale smarrimento ti ha sorpreso, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza?
E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso, che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente cosi allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea?
Come si può pensare, che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà? La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me».
(Sandro Pertini, lettera alla madre dal confino, 23 febbraio 1933)«Il mio nonno materno era un mazziniano, combattente della Repubblica Romana del 1848; mio nonno Pietro fu garibaldino; mio padre fu democratico antifascista. Io sono comunista. Mazziniani, garibaldini, antifascisti, comunisti: questa è la storia d’Italia, questa la via del progresso del nostro paese!» Continuai per un pezzo a ripetere questa frase, in ogni occasione, finché Giancarlo Pajetta mi consigliò di cambiare disco. Il fatto è che io ci tenevo a questi titoli di nobiltà antifascista».
(Giorgio Amendola, ex confinato sull’isola di Ponza, «Una scelta di vita», 1976)«Se, da un lato, questa influenza fascista ha spezzato ogni sentimento di solidarietà nazionale ed internazionale, ha ucciso ogni fede in una possibile convivenza pacifica dei popoli, dall’altro questo infinito scetticismo, che si rivela più o meno chiaramente, ma che uccide ogni possibile fiducia in un ideale, che deride il sacrificio dell’individuo proteso verso il benessere della comunità è, in fondo, la più cospicua conquista del fascismo e ne sarà probabilmente la più amara eredità».
(Eugenio Curiel, confinato a Ventotene, lettera alla direzione del PSI, 15 maggio 1938)«Tu giungi infine, ora della liberazione. Da più di sedici anni ti attendo. Le mie tempie sono divenute grigie. Tu sai quante infedeltà ho commesse per restar fedele a te, quanto ho peccato per restar puro e degno di te, a quanto ho rinunciato per non perderti, quanto ho disprezzato per poterti amare. Adesso vieni, ora divina. Tu sai che non ho vendette né rancori da placare. Ho bisogno di amare te, ora dolcissima e feconda. Ed ecco, sei veramente quale ti avevo attesa. Non sei la certezza, la conclusione riposante. Sei l’inizio, la matrice di ogni possibilità (…). Porti con te la mia donna, la mia spada, la mia battaglia».
(Altiero Spinelli, ex confinato a Ventotene, «Ulisse. Come ho tentato di diventare saggio», 1984)«Continueranno dunque a cercare la salvezza nel mutare gli ordinamenti costituzionali, mentre la radice del male è altrove: l’ignoranza politica della classe dirigente italiana, intendendo per classe dirigente i giornalisti, gli alti funzionari civili e militari, i candidati alla Camera, gli eletti, i senatori, gli organizzatori, le persone influenti. Questo è lo spaventoso malanno dell’Italia. E non si rimedia cambiando legge elettorale!»
(Gaetano Salvemini, lettera a Giuseppe Donati, 22 novembre 1922)«Il trasformismo è il vero morbo italico, l’arte del continuo compromesso generale, io aiuto te se tu aiuti me. Bisogna spezzare questa rete malefica e corruttrice. Bisogna lottare, buttando la propria vita in giuoco».
(Giorgio Amendola, prefazione agli scritti di Eugenio Curiel, 1973)«Il pericolo della situazione italiana sta nel fatto che le forze conservatrici e reazionarie non adottano la tattica della lotta frontale, ma quella del carciofo, strappano una foglia oggi ed una foglia domani, ci tolgono oggi un diritto, domani una posizione, dopodomani attuano un’altra misura reazionaria e di passo in passo insensibilmente siamo portati a cedere terreno ed a trovarci in posizione sempre più critica. Il pericolo sta nel fatto di non apprezzare appieno il valore delle posizioni che di volta in volta si perdono, di ragionare all’incirca in questo modo: “Non vale la pena di impegnare una grande battaglia per una questione che non è fondamentale e che può compromettere tutto, vedremo poi”. E così di posizione in posizione, che considerate ad una ad una possono non essere di grande importanza, si finisce poi, nel complesso, col perdere le posizioni decisive. Un regime clericale, allo stesso modo di quello fascista, non lo si realizza di colpo».
(Pietro Secchia, Rapporto sulla situazione della lotta di classe in Italia, 1947)«Le loro malefatte sono tutte perdonate per il timore che vengano altrimenti scoperti dei pericolosi altarini. E se, malgrado le precauzioni, alla fine scoppia uno scandalo, questi alti papaveri spavaldamente ricattano i ministri e i dirigenti dei partiti. Allora tutti si danno un gran daffare per insabbiare le inchieste».
(Ernesto Rossi, su «il Mondo», 1950-1952)Fonte: Corriere della Sera