Nuovo corso per gli universitari con professori da diversi Paesi del continente per imparare l’Europa dei diritti pensando ad Altiero Spinelli
Ma chi l’ha detto che i cervelli sono in fuga dall’Italia? C’è una generazione Erasmus ben determinata a non lasciare il Paese, almeno non in modo definitivo. Una generazione che crede fermamente nell’Europa e nella sua identità collettiva, che viaggia e studia all’estero, ma vuole poi tornare in Italia per provare a cambiare in meglio le cose. È questa la fisionomia dei partecipanti alla Summer School organizzata dall’associazione «Per l’Europa di Ventotene» (fondata da Gedrardo Santomauro e Andrea Patroni Griffi), proprio nella piccola isola pontina dove presero forma il manifesto di Altiero Spinelli e una certa idea moderna dell’Europa.
L’Europa dei diritti
Tema di questa edizione, per il corso che si è svolto dal 25 al 29 giugno, l’Europa dei diritti. Con un interrogativo di fondo: l’Unione europea è una struttura tecnocratica che ha consentito al mercato di trionfare sulle ragioni dei diritti? Oppure è ancora un baluardo dei diritti contro la deregulation della globalizzazione? Se lo sono chiesti nei giorni della Summer School studiosi come David Capitant, Pierre Brunet e Fabienne Peraldi Leneuf della Sorbona di Parigi, Andrea Patroni Griffi dell’Università della Campania «L. Vanvitelli», Tommaso Frosini e Sergio Marotta dell’Università degli Studi di Napoli «Suor Orsola Benincasa», Paola Bilancia dell’Università Statale di Milano, Antonio d’Aloia e Laura Pineschi dell’Università di Parma e Alberto Lucarelli dell’Università di Napoli Federico II.
L’Università è una finestra sull’Europa
Airp E gli studenti? Quali sono le motivazioni di questi giovani che dichiarano di credere ancora nell’Europa? Francesca Gelmini e Giulia Pinotti («Nessuna parentela illustre, per carità», precisano entrambe) hanno 26 e 27 anni, il loro dottorato alla Statale di Milano è in co-tutela con la Sorbona e spesso prendono l’aereo in giornata per andare e tornare da Parigi. «Il mito dell’università italiana chiusa su se stessa è da sfatare», osserva Pinotti, tirocinante in magistratura. «L’ateneo milanese ci spinge a stringere contatti con l’estero e del resto è evidente che con i nostri vicini d’oltralpe abbiamo un sostrato comune, anche sul piano della giurisprudenza». «Frequentando università straniere», continua Gelmini, che studia diritto della concorrenza, «si possono fare paragoni sulla qualità dell’ambiente didattico e sulle opportunità che l’estero offre. Ma personalmente voglio vivere in Italia e crescere qui la mia famiglia. So che fuori potrei guadagnare molto di più, ma noi abbiamo una qualità della vita più alta sul piano dei valori e delle relazioni». E la politica? Come reagiscono questi giovani sostenitori dell’Europa al clima di euroscetticismo in Italia? «Vero, oggi c’è una forte crisi, ma è impossibile pensare di tornare indietro. Non succederà, nonostante tutto».
L’ottimismo dei giovani
Laura Miccoli, 25 anni, ha studiato diritto amministrativo a Ca’ Foscari e anche lei ha un dottorato in co-tutela con la Sorbona: «I diritti fondanti sono un tratto unificante in Europa e possono far superare le differenze giuridiche e culturali che pure esistono. La politica per ora non fa paura, sembra puntare sugli annunci ad effetto. Certo, potrebbero essere l’anticamera di una deriva antieuropea, ma ci auguriamo che questo non avvenga». Cautamente ottimisti anche Alexandre Alves e Nicolas Chaney, entrambi parigini di 25 anni, studiosi di diritto amministrativo e societario che da Ventotene insistono «sulla necessità di riaccendere uno spirito europeo laddove manca».
«Non siamo inadeguati»
Da Caserta arriva Luca Di Majo, 31 anni, dottore di ricerca a Bologna in diritto costituzionale: «L’Europa è un fenomeno irreversibile, si va avanti anche se a passi lenti, specie dopo il trattato di Lisbona». «La nostra identità è basata sulle differenze» aggiunge Federico Savastano, 32 anni, dottore di ricerca in diritto comparato alla Sapienza di Roma. «Con l’allargamento dell’Unione europea questo si avverte di più. Comunque sono processi lenti, non ci dimentichiamo come era divisa l’Italia post unitaria. Solo dopo la prima guerra mondiale si è rafforzato il sentimento unitario. Le difficoltà rafforzano e oggi la crisi europea ne può rafforzare l’identità». «Anche i partiti hanno il loro ruolo», osserva ancora Di Majo, «non possono presentarsi in campo senza un programma europeo». «E soprattutto», conclude Savastano, «basta con i complessi di inferiorità. L’Italia non deve sentirsi inadeguata. Siamo portatori di una tradizione giuridica ma anche di un modello economico che ha avuto i suoi momenti d’oro e c’è ancora una visione nel paese che possiamo condividere e veicolare in Europa».
Fonte: Corriere della Sera