II mare del Tirreno centrale dove, a bordo della portaerei “Garibaldi”, si incontreranno oggi i presidenti Merkel, Hollande e Renzi, è lo stesso scrutato tante volte dagli autori del Manifesto di Ventotene, Alfiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, e dagli altri ottocento confinati in quella prigione a cielo aperto dove 75 anni fa è nata l’idea di «un’Europa libera e unita ». Tanta acqua è scorsa, però.
«Il clima nell’isola è quello di sempre perché il vertice tra i tre si consumerà in alto mare», spiega Gabriele Panizzi, federalista europeo della prima ora, già presidente della Regione e amico di Spinelli. «Sulla spinta del Manifesto — continua — resta la speranza per una uscita del Vecchio Continente dalle angustie politiche ed economiche che lo attraversano ». Panizzi era qui il 10 e l’11 ottobre 1981 quando, nel quarantennale del Manifesto (“Per un’Europa libera e unità”), un gruppo di federalisti europei accompagnò Spinelli nei luoghi della memoria: ecco la città confinaria, tirata su in fretta e furia dalla ditta Cidonio nel pianoro che sovrasta il porto. Ecco il Castello e il ristretto andito di viuzze dove era permesso il passeggio, ecco la spiaggia di Cala Rossano, aperta ai confinati dalle 8 alle 14, e il vecchio porto al quale il vapore che legava l’isola al Continente si accostava senza poter ormeggiare. Fu proprio in quei due giorni, durante le passeggiate dei ricordi che si decise di far sì che i giovani entusiasti che via via avevano ingrossato quel gruppo di dirigenti federalisti, potessero incontrarsi nell’isola ogni anno a parlare di Stati Uniti d’Europa e di Pace.
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Fu Spinelli a lanciare l’idea a Panizzi, allora assessore regionale agli Enti locali (da lì a neanche due anni divenne governatore): «Perché non realizzare una iniziativa che richiami nell’isola del Manifesto, cento, duecento giovani ogni anno?». E dal 1982 sono stati cinquemila i ragazzi che da ogni Paese europeo (ma anche da altre parti del mondo) si sono ritrovati qui dal primo all’otto settembre sotto le insegne del Movimento federalista europeo (Mfe). Quel giorno con Spinelli, c’era l’ex ministro socialista Mario Zagari: di lì a qualche anno diventerà presidente del Consiglio italiano del Movimento Europa unita, promosso da Churchill e nato nell’immediato dopoguerra.
C’erano Mario Albertini, presidente del Mfe, Giuseppe Petrilli, al timone dell’Iri prima di Romano Prodi e presidente del Movimento europeo, Umberto Serafini, allora a capo dell’Associazione Comuni e Regioni d’Europa. C’erano anche il sindaco dell’isola Lorenzo Cirillo e Beniamino Verde («socialista e anarchico», come amava definirsi) che sostituirà il primo due anni dopo. Spinelli si confidava con Panizzi: «Sandro Pertini aveva sottoscritto il Manifesto, ma ritirò la sua adesione dopo le pressioni dei compagni comunisti che mi consideravano un traditore dopo la mia uscita dal Partito». E proprio Pertini, allora presidente della Repubblica, dopo aver inviato un messaggio a Ventotene indirizzato a Spinelli e agli altri federalisti, convocò tutti al Quirinale nel luglio 1982 e confermò: «Mi intimarono di ritirare l’adesione pena la rottura dei rapporti con noi».
«Il Manifesto — spiega Annibale Folchi, il più importante è prolifico storico delle “città nuove” e delle isole Ponziane (ha scritto dodici volumi documentatissimi, oltre seimila pagine) — fece la sua prima uscita clandestina a Roma nel 1944 sotto il titolo Problemi della Federazione europea, a firma di Spinelli e Rossi, con la prefazione di Colorni. La figura di Spinelli — spiega ancora Folchi — esce dal “cenno biografico” redatto dalla polizia nel luglio 1928, “di carattere serio, di buona educazione, intelligente e colto; iscritto al Partito comunista, è un trotzkista, tenace organizzatore di giovani tra i quali ha ascendente”». «La sua partita con la polizia — continua Folchi — si aprì tra il 5 e il 6 febbraio 1926 quando, lui diciannovenne, a capo dei giovani del quartiere Trionfale a Roma, fu ritenuto promotore di una manifestazione contro il governo ».
Così, mentre in mare, Merkel, Hollande e Renzi sogneranno il futuro prossimo dell’Europa, in questa lingua di terra l’amarcord e la storia riempiranno il dedalo delle stradine che negli anni duri della seconda guerra furono culla dell’idea di un Vecchio Continente unito, in pace e libero.
Fonte: La Repubblica